La parte più erotica del mio corpo è il CERVELLO. Senza, sarei soltanto un pezzo di carne sui tacchi.

I miei racconti

25 gennaio 2011

Il compagno di classe

E’ passato un sacco di tempo, dalle superiori. Mi chiedo come saranno i miei vecchi compagni. Per fortuna c’è facebook, facilita la ricerca. Trovo un po’ di tutto. Le tipe più fighette si sono sformate con i figli. I brillantoni si sono attempati e ingrigiti. Quelli normali, sono rimasti normali. Becco anche quello che era cotto di me, un po’ più degli altri. Mi adorava in silenzio, con quel fare di chi sa che tanto io non lo avrei mai guardato, era troppo piccolo per me. Anche se ero sua coetanea, io mi divertivo a fare la lolita che provocava il professore di informatica, cacciandomi pure nei guai e finendo a rischio di espulsione.  Scopro pure che ora lavora per conto suo e sistema i computer.
Gli scrivo che sarebbe stato carino bere un caffè per rivedersi e che avrei proprio bisogno di un mago informatico per far ripartire un vecchio portatile nel quale ci sono foto alle quali tengo. Risponde subito. E mi da appuntamento al giorno successivo. Quando ci vediamo stento a riconoscerlo, si è fatto uomo. Si illumina vedendomi sicuramente più matura, ma sempre in forma. “Che gran bella donna !” e mi strappa un sorriso malizioso. Mi racconta un po’ di lui. Solita storia. Sposato giovane, sfornati un paio di figli in fretta, ora passa gran parte della giornata al lavoro per mantenerli. Con la moglie più nulla da dirsi. Una vita già conclusa, in pratica più niente da conquistare. Eccetto me, che rimango il suo più grande rimpianto. Mi guarda fisso nella scollatura e arrossisce come i vecchi tempi. Decido in quell’istante che un fan di lunga data come lui, si merita una ricompensa. Vado in bagno, porto la borsa con me. Dalla taschina tiro fuori un preservativo e lo tengo nel palmo della mano. Esco vado verso il tavolo e senza sedermi, gli dico che devo andare, ma che gli lascio il mio portatile da sistemare. Lui si alza per salutarmi e gli allungo la mano. Rimane un po’ sbigottito, si aspettava magari un abbraccio, ma mi asseconda. Prende la mia mano e stringendola sente quel tondino ricoperto dalla carta frastagliata. L’inconfondibile forma di un preservativo. Mi sorride impacciato. “Questa sarà la tua ricompensa quando me lo riporterai aggiustato”. Un uomo ha sempre bisogno di un incentivo per raggiungere la meta. E infatti due giorni dopo manda un messaggio avvisandomi che è tutto a posto e chiedendomi dove incontrarci per la consegna. Non fa cenno alla mia proposta e questo gli da diritto ad un ulteriore bonus. Gli chiedo quindi di portarmelo a casa, fornendogli l’indirizzo. Lo ricordavo giovane, ma non stupido, quindi non si lascia scappare questa occasione. Mi scrive che passerà dopo cena, prima non ce la fa proprio. Il campanello, lo scatto del cancello che si apre, una scala e un pianerottolo. Tre porte, quella a sinistra ha le chiavi sulla toppa e un post-it con scritto: ENTRA E SEGUI LE ISTRUZIONI .
Chiusa la porta, si ritrova nel mio salotto buio, molte candele e una lampada sopra ad un tavolo. Sotto la luce un biglietto:
“Stasera realizzeremo il tuo sogno e una mia fantasia. Vuoi giocare con me ? Ho sempre desiderato essere l’oggetto del piacere di uno sconosciuto in casa mia. Segui le candele, ti porteranno da me. Mi troverai pronta, come mai hai sognato di potermi vedere, a tua completa disposizione. Non ti negherò nulla. Soddisferò ogni tuo piacere. Ma sarò bendata e tu non dovrai parlare. Dovrai farmi capire quello che vuoi in altri modi.”
Una scala porta alla mia camera, su ogni gradino una candela, alla fine una porta e un altro post-it “Benvenuto nel mio mondo, sei pronto ?”. Per non essere distratta da una sua debolezza, ho messo i tappi alle orecchie. Una mascherina negli occhi, una camicia da notte trasparente, nera, lunga fino alle caviglie, scollata dietro, spacco profondo laterale, un paio di calze autoreggenti e le mie scarpe nere, tacco dodici, con la suola rossa. Niente intimo. Lo aspetto seduta sul letto, gambe accavallate, mani dietro, appoggiate sul materasso. Non posso sapere se ha aperto la porta. E questo mi fa eccitare. Il pensiero di lui che mi guarda, scrutando la situazione, pensando da che parte cominciare con me, fa uscire il mio nettare dalle gambe, trapassando la trama inconsistente della veste e bagnando le lenzuola. Ho pensato a tutto, preparando ogni cosa possa servire sul comodino. Dell’acqua, due bicchieri, in un terzo anche dei cubetti di ghiaccio, preservativi, olio da massaggi e giochini vari da adulti. Non so quantificare quanto tempo sia passato da che è suonato il campanello. Comincio a pensare che se ne sia andato, sopraffatto da tanta mia intraprendenza. Invece sento la mano gelida di uomo, accarezzarmi la guancia. Mi sfiora il viso, passa sotto al mento e con la pressione dei polpastrelli di due dita, fa segno di alzarmi. Sorrido, lo assecondo. Mi alzo, la mano passa dietro alla nuca, le sue dita tra i miei capelli, abbandono la testa indietro e in quell’istante mi bacia. Un bacio asciutto. Labbra premute sulle mie. Sono io a socchiuderle e a bagnare le sue con la lingua. Un istante di pausa, per farsi coraggio, per convincersi che sia tutto vero. Che la mia lingua gli abbia dato il permesso di entrare in me, da dove più gli piace.  Da quel momento, sono sua, con un impeto e un’impudenza tale da farmi temere. La sua foga è giustificata da dieci anni di attesa, di sogni erotici e chissà quanti momenti solitari in bagno. Il suo desiderio avverato è lì davanti a lui e con quella lingua l’ho autorizzato a sfogare sul mio corpo pulsioni a lungo trattenute.
Fa scivolare la sottoveste lungo i fianchi, perlustra tutta la mia pelle con le mani, afferrando i seni e stringendoli, fino a farmi male, non riesce a trattenersi. Mi caccia una mano tra le gambe, sentendomi bagnata. Se la lascia inondare, la sfrega lungo le mie cosce, mentre l’altra passa dietro, scende lungo la schiena, prendendomi una natica e stringendola con la stessa foga con la quale aveva stretto il seno. La lascia e un istante dopo sento che la schiaffeggia. Sono preoccupata, penso che forse ho esagerato e che ho dato carta bianca ad un maniaco. La gente cambia con il tempo, oddio. Che stupida che sono stata. Sento che mi stringe le spalle, spingendomi in basso, mi fa inginocchiare. Mentre scendo, accarezzo i suoi fianchi, è ancora vestito. Gli slaccio la cintura, sbottono i jeans, faccio scivolare i boxer e lo assaggio. La mia lingua lo lecca da cima a fondo, solo con la punta e con una mano lo afferro. L’altra è sotto. Lo prendo in bocca, non tutto, non ce la faccio. E mentre con le labbra lo stringo, con la lingua lo faccio impazzire. Il solito lavoretto in cui so di essere brava. Lo dovrei calmare, per un po’. Spero. Mi dedico a lui, al suo piacere, che non posso sentire con le orecchie, ma che sento ingrossarsi in bocca. Mi stringe la nuca e la testa, comunicandomi quanto si stia trattenendo. Sta cercando di resistere, ma non ce la fa a lungo. La mia lingua sta cesellando la sua punta, senza dargli tregua. In pochi istanti vengo inondata da lui. Un caldo, viscoso, getto di lui, dentro me. Non ne perdo una goccia. Lo ingoio. So che questo fa impazzire gli uomini. Meno le donne, ma non per pudicizia o schifo. Semplicemente per la consistenza di quel liquido, che non è facile da inghiottire. Ecco perché ho preparato l’acqua. Gli dico di versarmene un po’. Lui esita qualche istante, credo si stia riprendendo. Poi mi lascia lì inginocchiata e si allontana. Mi alzo, sono in camera mia, so muovermi anche bendata. Mi siedo sul letto e aspetto. Fremente di attesa. Cosa farà adesso? Gli sarà bastato ? Se ne sarà andato così? Sento le sue dita passare sulla mia bocca, me la fa aprire, ci appoggia un bicchiere. Bevo. Appena il tempo di inghiottire, che la sua lingua mi penetra. Mi bacia, con foga. Non si è ancora placato. Mi afferra un seno, di nuovo con forza e con l’altra mano scende. Mi schiude le altre labbra. Ci ficca due dita, le toglie e le infila ripetutamente. La cosa non mi fa impazzire, è la situazione che mi eccita. Sentire l’impeto dello sfogo represso di un uomo che per anni mi ha desiderata, mi eccita. Per il resto non se la sta cavando granchè bene. Comincio a pensare che abbia fatto sesso solo con sua moglie. E che abbia imparato quello che mi sta facendo dai porno. Video insulsi fatti dagli uomini, per gli uomini. Dove contano misure e durata maschile, non l’appagamento femminile. Continua per qualche minuto, gli do corda e lo assecondo con qualche gemito qua e là. Poi si ferma, mi fa alzare e sdraiare sul letto, a pancia sotto. So già dove vuole arrivare. Ma non ho nessuna intenzione di concederglielo. Se tanto mi da tanto, lo farà male e mi farà male. Non esiste. Comincia a leccarmi tra le natiche, è incontenibile. Mi allarga le gambe, senza riserve ci infila la lingua e qualche dita. Sento che la cosa lo fa impazzire, perché si muove forsennatamente. Vorrei dirgli di smetterla, ma non ci riesco, mi sento così eccitata da tanta foga. Riesco solo a sussurrare “preservativo” e a indicargli il comodino dove li avevo messi in vista. Si allontana da me, ne approfitto per mettermi più comoda. Sarà meglio che ci pensi io, visto che lui di sicuro avrà fretta. Mi alzo e mi chino in avanti offrendogli lo spettacolo migliore che può immaginare. Non aspetto molto, due mani afferrano il mio bacino, una lingua mi inumidisce e una punta morbida tenta di infilarsi. Si aiuta con le dita,  mi allarga, ce le infila, ma il suo pene, no. Non ce la fa. Sento che ad ogni tentativo le cose si ammosciano ulteriormente. Capisco che devo farlo desistere e convincerlo a cambiare rotta. Allungo una mano, glielo prendo, lo massaggio un po’ , fino a sentire che sta riprendendo quota. Mi piego in avanti e lo porto all’imbocco della mia vagina. Ecco, accomodati è tutta tua. Lui entra e si inturgidisce all’istante. Comincia a spingere violentemente, fino a spostare il letto. Deve dimostrarmi di essere un uomo e riprendersi dalla figura di prima. Mi tiene una mano sulla spalla, per non farmi divincolare e con l’altra mi schiaffeggia il sedere, ogni tanto. Sono tramortita da tanto impeto e da tanto fiato. Continua per un bel po’, senza cambiare ritmo o posizione. Mi sta semplicemente stantuffando. Quando si ferma, capisco che è venuto. Al mio piacere non ho pensato. E come potevo ? Lui si allontana. Io mi alzo. Poi sento una mano sulla nuca, mi accarezza e mi toglie un tappo dall’orecchio. Una voce famigliare mi dice: “La prossima volta, voglio tutto. Hai scritto che non mi neghi nulla.” E se ne va. Una seconda chance non si nega a nessuno, per carità…ma non credo andrà meglio.

17 gennaio 2011

Big Gym

Ci frequentavamo da un po’, lui era un signore. Uno di quelli che apre gli sportelli dell’auto, sposta la sedia per farti accomodare, sbuccia i crostacei con coltello e forchetta. Quest’ultimo indizio avrebbe dovuto farmi intuire parecchio sulla sua indole a letto. In effetti le sue performance non erano un granchè. Intendiamoci, non mi aspetto scintille dalle primissime volte. Però oltre a non occuparsi troppo di me, era anche fisicamente poco dotato. Insomma, per farla breve, ce l’aveva piccolo e sottile. Di per sé non c’è da farne un dramma: su ciò che la natura dispone, noi non possiamo sindacare. Certo però, che se a me avesse dato un seno piccolo, avrei cercato di soddisfare il palato dei miei commensali con altre portate. E lui aveva dieci dita a disposizione, che se usate bene possono dare un piacere superiore di un unico membro. Ma non intendeva sporcarsi. Figuriamoci se uno che non usa le mani per mangiare, si lascia trasportare da giochini che prevedono il contatto con fluidi corporei. La cosa mi faceva sorridere all’inizio, ma col passare del tempo mi frustrava. Restavo sempre a bocca asciutta o nella migliore delle ipotesi, mi alzavo da tavola con ancora molta fame. E lui se ne stava rendendo conto. Cercava di soddisfarmi con altre attenzioni. Regalini, pensieri romantici, viaggi. Potevo anche considerarmi una donna fortunata. Avevo trovato un uomo che non riuscendo a darmi piacere carnale, mi ricopriva di piaceri materiali. Ma francamente, non mi bastava. Una sera come tante altre, lo raggiunsi nella sua deliziosa alcova, nel centro storico di una cittadella medievale. Mi aveva detto che sarebbe stata una serata speciale, mi avrebbe presentato un amico a cui teneva molto. Lavorava in un settore in cui le pubbliche relazioni erano importanti, quindi pensai che fosse una cena di lavoro. In fondo gli ero grata di tutta la sua generosità, mi ero quindi preparata a dovere per fargli fare bella figura. Con mia grande sorpresa, non ci spostammo molto. Il ristorante scelto era quello sotto casa, che di solito snobbavamo proprio perché troppo vicino. L’amico non si faceva vedere e lui era troppo nervoso per chiedergli come mai. Era sulle spine. Vedevo che scrutava attorno, guardava il telefono e l’orologio in continuazione. Pensando che fosse andato storto qualcosa e non volendo rincarare la dose, cercai di distrarlo. Feci scivolare una mano sotto alla tovaglia e gliela posai tra le gambe. Ma lui scattosamente me la tolse. “Non stasera !” mi disse, voltando lo sguardo verso le poche auto parcheggiate in quella piazzetta. Capii che non era il caso di continuare. Mi fermai al primo piatto, se la cena doveva continuare così, meglio farla finire in fretta. Anche lui pensò lo stesso. E infatti ad un certo punto, si alzò e andò a pagare, senza dirmi nulla. Non era da lui. Quando uscì, si diresse verso il portone che portava al suo appartamento, facendomi segno di seguirlo. Non ne avevo nessuna voglia. Mi stavo per inventare una delle solite scuse, scegliendo la più banale, per sottolineare il mio disappunto. Ma volevo ripagarlo con la stessa moneta, decidendo di salire, strofinarmici addosso, farlo arrivare al punto in cui di solito mi alzava la gonna e si divertiva per quegli interminabili, noiosissimi sette minuti di spintarelle impercettibili e senza lasciargli il tempo di infilarmelo, voltare i tacchi e andarmene per il gran mal di testa dovuto alla cena. Il piano era congeniato. Iniziai ad attuarlo salendo le scale. Entrata nell’appartamento al secondo piano, iniziai con le moine classiche. Ma fui interrotta dal campanello. Lui mi sorrise. Un sorriso imbarazzato e amaro, simile a quello che mi fece quando glielo guardai per la prima volta, cercando di celare la mia espressione stupita e la domanda che mi balenò in fronte: “e con questo, che cosa ci dovrei fare ?”. Le medesime perplessità che mi vennero quando lui mi disse che quello alla porta era il suo amico. L’ennesimo regalo per me. L’aveva conosciuto in palestra, si era assicurato sbirciandolo in doccia, che fosse il tipo adatto e gli aveva proposto la cosa. Aveva il compito di essere una specie di vibratore in carne e ossa a mia disposizione, per farmi finalmente godere. Restai sbalordita ! Andai ad aprire fremente quanto una ragazzina che scarta il regalo di natale. Chissà com’era il nuovo Big Gim da aggiungere alla collezione di Barbie. In effetti l’uomo che si presentò era di notevole prestanza e la cosa non mi lasciò indifferente. Perché no, mi dissi. Così gli lasciai campo libero. Senza troppi convenevoli, ci baciammo e cominciammo a spogliarci a vicenda. Ero talmente curiosa di vedere la misura del mio regalo che praticamente fummo entrambi nudi in pochi minuti. Con mia notevole sorpresa, le aspettative non furono deluse, il nome scelto al bambolo calzava a pennello. Era Big ! Finalmente mi dissi. Non riuscii a resistere alla voglia di assaggiarlo. Lui restò in piedi, mentre io mi inginocchiai e cominciai a leccarlo come fosse il primo gelato dell’estate. Quello che si sogna per tutto l’inverno. Dopo un po’, mi fermai. Il mio amico dov’era finito ? L’avevo completamente dimenticato. Mi voltai e lo trovai seduto sul letto. Sconsolato. Poveretto, non era giusto. Era sicuramente divertito nel vedermi giocare, ma credo si sentisse di troppo, non potendo competere con le dimensioni dello strumento a sua disposizione. Così pensai al modo di inserirlo nei nostri giochi. Mi misi carponi, nuda com’ero, avanzai verso di lui. Gli sbottonai i pantaloni. Leccai anche il suo. Ma non reagì. Si vergognava, credo. Così alzai lo sguardo, incrociai il suo e con tutta la malizia che avevo, gli dissi: “Che ne dici se mentre mi scopo il tuo amico, tu mi dai il ritmo ?” Una luce si accese nelle sue pupille. Lo presi per mano, mi alzi, andai verso Big Gim chiedendogli di sdraiarsi a terra. Mi inginocchiai sopra di lui, lo baciai. Scesi lungo il collo, il torace, i fianchi, leccandolo e mandando occhiate di piacere al mio amico che stava vestito, in piedi sopra di me. Presi con una mano il mio vibratore in vera pelle e me lo strofinai sul clitoride. Alzai la testa, guardai il mio amico e me lo infilai, tutto d’un fiato. Chiusi gli occhi per un istante, per godermi quel piacere privato. Carne possente, entrava in me, dopo tanto tempo e mi riempiva fin quasi a lacerarmi. Si ! Sentivo il mio liquido viscoso avvolgerlo e mi pervase la voglia incontenibile di farlo scivolare ancora in me. Spalancai gli occhi, guardando il mio amico e dissi: “Prendimi per le spalle e fammi scopare con lui, come vorresti che facessi con te” . Si mise dietro di me, buttai indietro la testa, per continuare a guardarlo negli occhi, aprii le braccia e aspettai. Lui si decise, mi prese sotto e mi alzò fin quasi a farmelo uscire, poi mi lasciò cadere e mi spinse, per farmelo stare dentro. Sgranai gli occhi e aprii la bocca, lui ci infilò la lingua. “Fallo ancora, fammi godere” dissi. Mi prese ancora le braccia e cominciò a manovrarmi, come se fossi la sua bambola. Facendomi ruotare il bacino, alzandomi poco o tanto, lasciandomi cadere o spingendomi, più e più volte. Mi stavo divertendo a guardare il mio burattinaio, mentre cercava di dirigere il mio piacere, usando lo strumento di un altro, non curante di chi mi stava sotto. Finchè, mi lasciò dicendomi “Adesso cavalcalo come solo tu sai fare, io mi siedo sul letto a godermi lo spettacolo”. Diedi un’occhiata allo stallone e vedendolo tranquillo e divertito, decisi di dare il meglio di me. Mi alzai e mi sedetti su di lui, dandogli le spalle. Le sue mani presero il mio sedere, lo strinsero. Cominciai a cavalcarlo, stringendo le gambe sui suoi fianchi e aumentando il ritmo, fino a farlo impazzire. Mi tolsi un attimo prima che venisse, facendomi schizzare sulla schiena. Mi alzai e andai in bagno. Ci rimasi il tempo necessario a farmi una doccia, per dare il tempo ai due di salutarsi senza di me. Quando mi decisi ad uscire, rivestita e profumata, mi avvicinai al mio amico, lo baciai per l’ultima volta e gli dissi: “Sei davvero un signore, non potevi trovare modo migliore per finire in bellezza la nostra storia.” E me ne andai.

07 gennaio 2011

Ribelle

Si, sono una femmina ribelle. Del tutto refrattaria all’autorità. Una che non si lascia domare, ma che all’occorrenza sceglie di farsi dominare. In quanto donna, lo concedo solo ad un uomo. Non alle brutte copie, gli omuncoli. E lui è un grand’uomo. Uno tutto d’un pezzo. Un professionista con il quale ho collaborato molto spesso negli ultimi mesi. Sempre con ottimi risultati. Il suo tono nei miei confronti rivela grande professionalità e distacco. E’ abituato a trattare situazioni nelle quali la sua bravura nella mediazione, fa la differenza. L’atteggiamento sicuro, pacato e misurato è il suo marchio di fabbrica. Tanto da dovermi sforzare di non sentirmi in soggezione davanti a lui. Abituata a strappare un’occhiata fremente anche dal più impassibile uomo d’affari, starmene davanti a chi sembra guardarmi con sprezzante distacco, mi rende nervosa. Ma ho ancora bisogno di lui. Quindi decido di chiamarlo e fisso un appuntamento. Mi riceve nel pomeriggio.
Il suo studio è vuoto, è giorno di festa. Un patrono qualsiasi ha il potere di lasciare a casa folle di dipendenti, in uno stato che ancora ci ostiniamo a chiamare laico.
Mi fa accomodare nel suo ufficio, chiude la porta. Gli illustro il nuovo problema, con l’usuale calma, mi profila le possibili soluzioni. Una scrivania ci separa, ma ormai arresa alla sua precedente indifferenza, non faccio caso a nulla. Quasi non mi accorgo che da qualche minuto mi sta fissando, con uno sguardo diverso.  Si è indurito e non mi molla. Silenzioso mi guarda. Ha il potere di farmi sentire a disagio. Mi spinge a dubitare che mi sia sfuggito uno sproposito. “C’è qualcosa che non va?”. Lui non risponde. Mi rivolge un mezzo sorriso. Aspetto qualche istante ancora.“E se ti dicessi che non ti ho fatta venire qui per lavoro?”  Sono turbata, incuriosita, furiosa. Mi sta facendo perdere tempo, mi sta sfidando o si sta prendendo gioco di me ? “Non capisco.” gli dico rivolgendogli uno sguardo feroce. Sbuffa sorridendo, si alza lentamente e si dirige verso di me. In piedi alle mie spalle, si china e mi sospira all’orecchio “Non credo tu sia così ingenua da non aver capito.” La sua voce ferma e il suo fiato soffiato al mio orecchio mi fa rabbrividire di piacere. “Mi hai sempre ignorata”, rispondo. Senza sfiorarmi, si sposta nell’altro orecchio, annusandomi i capelli. “Solo perché un uomo non si fa vedere mentre ti guarda, non significa che non ti abbia immaginata nuda, nei più piccoli dettagli” . Sorrido, questo è l’avvio al mio gioco, quello nel quale so di essere una maestra. Punto i piedi a terra e stringo i braccioli della sedia, per darmi la spinta necessaria a girarmi. Ma lui mi ferma. Mette le sue mani sopra le mie, le tiene salde impedendo di muovermi. “No tesoro, sei nel mio ufficio, le regole le detto io” Finalmente, mi dico. Speriamo sappia il fatto suo. C’è da dire che la mia intraprendenza, è pari all’inadeguatezza maschile. “Alzati e appoggiati alla scrivania” La sua sfrontatezza mi eccita. Dandogli le spalle, alzo il tubino nero fino a far scivolare fuori il pizzo delle autoreggenti, divarico le gambe, inarco la schiena e aspetto. So già cosa succederà. Sono abituata agli uomini che mi vogliono possedere. Ma stavolta è diverso. Lui, è un uomo diverso. Si avvicina a me, appoggia il suo bacino, lo fa aderire al mio. Allunga un braccio, preme il suo petto sulla mia schiena, prende una forbice dal barattolo davanti a me. L’altra mano passa sotto il vestito, due dita si infilano sotto la biancheria, ne seguono il profilo lungo il bordo fino ai fianchi. La tengono sollevata dalla pelle. Sento il freddo della lama. Un brivido di paura mi fa chiudere le gambe, in un gesto di protezione. “Se non stai ferma rischio di farti male”. La forbice taglia la biancheria, prima da un lato poi dall’altro. La sfila facendola strusciare tra le mie cosce. Non so se essere eccitata o impaurita da tanto ardore. Ma è solo l’inizio. Un braccio torna sulla scrivania, appoggia le forbici, afferra la mia mano, stringendola con forza. Sento che ansima alle mie spalle, mi morde non troppo violentemente il collo. Sto per ammonirlo, ribellandomi a lui per dirgli che non mi lasci troppi segni! Ma la sua mano, mi afferra il collo, facendomi voltare il viso. Le sue labbra serrano il mio lobo, lo succhiano, strisciando i denti. Non è mia abitudine lasciare condurre il gioco ad un uomo, ma mi intriga per ora, sentirmi virilmente costretta. Normalmente mi sarei già sgancia e girata, ma oggi mi va di essere posseduta. Gli lascio carta bianca. Schiudo le gambe di poco. Lui coglie il segnale e dalla scrivania, sposta la mano sulla mia gamba, passa nell’interno, accarezzandola. Le richiudo velocemente, imprigionandogli la mano tra le cosce. Sento un suo mugugno all’orecchio e la sua saliva mi conferma l’eccitazione incontenibile. Lascia la mia gola, per infilare anche l’altra mano sotto al vestito. Lo alza, mentre avanza verso la prova della mia resa. Sono fradicia. Si bagna l’indice di me e me lo infila tra le natiche. Scivolando nel mio solco, trova l’imbocco della mia carne. Assecondo il suo desiderio di possedermi brutalmente, concedendo sfogo agli animali che siamo. Nulla di cerebrale deve insinuarsi. La mia mano fruga tra i suoi abiti, gli slaccia frettolosamente tutto ciò che tiene rinchiuso lo strumento del piacere che voglio da lui.  Lo trovo e lo afferro avidamente tra le dita per appoggiarlo al mio sedere. Con entrambe le mani mi allargo le natiche, offrendole al mio carnefice. “Prendimi!” La mia carne, avvolge la sua e in poco tempo, la riempie di piacere bollente e palpitante. La sua furia si è esaurita in qualche spinta ed ora è immobile. Mi ha tappato la bocca per soffocare ogni mia possibilità di libertà. E questo giogo mi è piaciuto. Ma ora che si è calmato, tocca a me. Ora la schiava torna padrona di sé, determinata ad esserlo anche di lui. Mordo una delle dita che mi soffocano, liberandomi dalla sua mano. Mi volto di scatto e lo bacio prepotentemente, ma lentamente. Ora scelgo io il ritmo. E tocca a me godere. Ma non sarà facile. Lui non è intenzionato a lasciamelo fare. Mi succhia la lingua e stringe il mio corpo tra le sue braccia in una morsa. Mi abbandono, facendogli credere per un istante di avermi domata. Appena allenta la presa, mi siedo sulla scrivania. “Vuoi vedere come godo? Prendi una sedia e gustati lo spettacolo” Incuriosito e ammaliato dalla mia proposta, mi obbedisce. Mentre afferra la sedia, mi sdraio e abbandono le scarpe sul pavimento. Appoggio i piedi sulle sue cosce e ne strofino uno sul suo pene ancora lucido e sfatto, abbandonato fuori dai pantaloni. La mia mano, accarezza l’interno coscia e scivola lentamente, verso il pube. Lui mi solleva il vestito, per vedere meglio e resta immobile a guardare. Le mie dita cercano sapienti il piacere. Ne conoscono ogni labirinto. Ne sanno scovare l’intimo rifugio. Mi stuzzico il clitoride, facendo sgorgare lava infuocata ed eccitata. “Vuoi sentire il mio orgasmo sulla lingua? Allora infilala e aspetta” Mi asseconda e mi tortura là dentro, lasciando le mie dita libere di darmi piacere. Sfregando il magico bottoncino esterno, fino all’estremo sussulto. La vibrazione è tale da farmi contorcere il bacino. Lo afferra e lo serra tra le mani, tenendomi immobile. Toglie la lingua, si alza e riempie quel vuoto di carne, tornata turgida e fremente, desiderosa di penetrarmi. Tutta. Mi afferra le mani, le porta sopra la mia testa e me le inchioda alla scrivania. Si ferma, mi fissa. Di nuovo quello sguardo duro ed emblematico di prima, mi scruta. Vuole afferrare l’espressione del mio piacere e togliermi quell’aria di irriverente intraprendenza. Gli stringo il bacino tra le gambe, tenendolo avvinghiato e saldo dentro di me. “Scopami con tutta la foga che la mia insolenza ti suscita”. Cerco di divincolarmi, per alzarmi e baciarlo, ma lui mi tiene ancorata alla scrivania. Mi sfida e mi deride, avvicinando il viso al mio per farsi baciare, per poi scostarlo bruscamente all’ultimo istante. “Niente smancerie, dolcezza. Ricordi ? Detto io le regole, qui” Mi abbandono, lasciandomi penetrare, ogni spinta è una sua dichiarazione di virilità. Lunghe penetrazioni lente, si alternano a brevi e secche. Sposto i piedi, puntando i talloni sulla scrivania. Ora posso inarcare la schiena e far strusciare il mio monte di venere su di lui, mentre affonda. Le sue mani mi lasciano libera per afferrare le mie natiche e tenerle sollevate, sento le dita lungo il solco. Affondano di nuovo della carne proibita. Ad ogni colpo di bacino, corrisponde una penetrazione anale. Sento calore divampare in tutte le direzioni, vorrei urlare, ma il mio corpo è troppo concentrato a darmi piacere. Riesco solo a mugugnare, tenendo le labbra chiuse. Resto sfinita da tanta potenza. Lui si sfila da me e voltandomi le spalle esce dalla stanza. Scendo dalla scrivania, guardo le tracce del nostro amplesso impresse sul vetro. Mi sento stordita. Le gambe sono molli e stentano a infilarsi le scarpe. Afferro la borsa e me ne vado. Non potevo trovare un professionista migliore, al quale affidare la mia causa.

01 gennaio 2011

Indecente !

E' vero, tutto questo e' indecente! Rivelare le mie fantasie. Confessare i miei peccati e pubblicarli qui, alla mercè di tutti, corredati da foto a dir poco sconce, è indecente. Sono una donna indecente e rivendico il diritto di poterlo essere. Senza vergogna, ma con la complicità dell'anonimato voglio poter essere libera. Libera da preconcetti e stereotipi. Libera da vincoli e castrazioni. Libera di scandalizzarvi con i miei pensieri di femmina in calore, che non trova piacere maggiore che quello di essere desiderata, posseduta e scopata da un uomo.
Voglio concedermi il peccato peggiore: la LUSSURIA e goderne appieno. Voglio potermi regalare momenti di piacere carnale, senza dovermi trattenere per paura del giudizio di coloro i quali pensano, vedono e vivono una vita fatta di rinunce dettate da scelte di comodo e da decisioni che non si possono più' ritrattare. Voglio essere libera di scopare chi voglio, quando voglio e come voglio. Voglio essere strumento del piacere di un uomo. Realizzare le mie perversioni, desideri e fantasie segrete. Se questo e' essere una donna indecente, allora si lo confesso. Sono un’indecente femmina esibizionista. Mettetemi alla gogna, chiamatemi come volete, marchiatemi con la lettera scarlatta o mandatemi al rogo.
Ma prima di farlo, guardatevi allo specchio e ditemi in tutta onestà, che non vorreste essere voi i prossimi protagonisti dei miei racconti.
Ditemi che non vorreste per una volta nella vostra vita, ritrovarvi con una femmina del mio calibro in un letto sfatto. Felici di aver realizzato i vostri desideri inconfessabili a mogli, compagne, amanti e madri.
Troppo comodo additarmi, chiamandomi con epiteti poco garbati. Se fossi un uomo mi invidiereste.
Leggetemi, guardatemi e decidete se scagliare la prima pietra o se prendere il numero e mettervi in fila !