La parte più erotica del mio corpo è il CERVELLO. Senza, sarei soltanto un pezzo di carne sui tacchi.

I miei racconti

22 marzo 2011

La mia carne a ricompensa

Sei arrivato da me con un labbro spaccato. Ho aperto la porta e mi sono trovata davanti un uomo nuovo. Uno sconosciuto. Ha le tue sembianze, ma non i tuoi occhi. Quegli occhi da buono che ti ho sempre detto tradiscano il fatto che tu la divisa, ce l’hai tatuata addosso. Anche se lavori in borghese. Anche se ti vesti da straccione e ti lasci crescere i capelli, la barba e le basette. Non sembrerai mai uno di quei tossici che vai ad arrestare. I tuoi occhi sono il tuo distintivo. Ma non stasera. Lo sguardo è feroce, incattivito. Non dici una parola. Ti faccio entrare, prendo cotone e disinfettante. Appoggi una mano sul tavolo e vedo che è insanguinata, gonfia. “Che ti è successo?”. Nessuna risposta. Ti sei accorto che i tuoi occhi mi feriscono. Li abbassi rivolti a terra. Ti pulisco i graffi nella mano. Mi siedo sulle tue gambe, ti guardo, muto e inerte. Mi preoccupi, non è da te. Tu che non fai in tempo a vedermi, che già mi hai baciata. Tu che mi sorridi e mi dici che sono la tua Fimmina. Tu che mi prendi con la voracità di un uomo affamato e mi consumi di sesso appassionato. Prendo il tuo viso tra le mani, ti faccio alzare gli occhi, che finalmente incrociano i miei. “Mi dici che è successo?” – “E’ finita. Non verrà mai più a darti fastidio”. Un brivido parte dalla nuca e corre giù. Erano settimane che un maniaco mi perseguitava, dandomi la caccia ovunque. Telefonate a qualunque ora, appostamenti sotto casa, regalini sul parabrezza dell’auto e persino due gomme squarciate. Un incubo. Dopo aver denunciato il tutto, dentro al bar di fianco alla caserma avevo incontrato lui, che da prima mi era sembrato un delinquente, più che un carabiniere. Quattro chiacchiere, in scioltezza. Mi aveva offerto il caffè, senza che me ne accorgessi, uscendo prima di me. Pensavo che non l’avrei più rivisto, ma un paio di giorni dopo mi ha contattata. Voleva saperne di più. In poco tempo siamo diventati amanti. Era un uomo educato, dolce e gentile. Ma da quella sera, fu tutto diverso. Lui mi aveva difesa, salvata. Ora leggo vergogna nel tuo sguardo, capisco che quel che hai fatto, sconfina nell’illecito. “Anche se lo avessi beccato fuori da casa tua, non gli avrei potuto fare niente. Ma ora sa che sei la mia donna e che ti deve lasciare in pace.” Mi avvicino per darti un bacio, allontani la testa di scatto. “No.. il sangue”. Prendo del cotone, lo bagno di saliva e lo passo sulla ferita, dolcemente. Mi alzo, ti prendo per mano e ti porto in bagno. Ti spoglio. Come fossi un manichino. Ti lasci fare. Esausto. Nell’animo, più che nel fisico. Apro l’acqua nella doccia. Ti faccio entrare. Mi libero dei miei vestiti e ti raggiungo. Prendo la mano ferita, la bacio e le faccio accarezzare il mio viso. La faccio scendere lungo il collo, lentamente. La spalla, lo sterno. Raggiunge il seno. E la lascio lì. Qualcosa in te prende vita. Lo sento premere tra le gambe. Lascio che l’acqua coli sulla tua carne, dopo essere passata sulla mia. Acqua calda, mista a me. Ti accarezzo, ti bacio. Continui a sfuggire al mio sguardo. Il tuo corpo è lì, la mente è altrove. Guardo l’altra mano. Serrata. Un pugno chiuso, un colpo in canna. Sento che c’è qualcosa di incompiuto. Ti è rimasto qualcosa di brutale dentro. Devo farlo uscire. Altrimenti marcirà. Allora mi giro. Faccia al muro, tu dietro. Sposto la tua mano dal seno e le faccio accarezzare il mio sedere. Di nuovo, sento la tua carne pulsante appoggiarsi alla mia. Te lo prendo e lo dirigo sul mio solco. “Finisci di sfogarti su di me”. Appoggio i palmi delle mani al muro, inarco la schiena, offrendomi e aspetto. “Ti prego, scopami con tutta la rabbia che ti è rimasta”. Non ti muovi, non fiati. “Ti prego”. Finalmente il tuo braccio cinge la mia vita, spingendomi verso di te, facendomelo entrare. Un unico colpo. Secco e deciso. Dalla mia bocca esce un mugolio di dolore. L’altra mano mi tappa la bocca severa e senza aspettare che la mia carne faccia posto alla tua, cominci a spingere. Non eri mai stato così violento. Non mi avevi mai presa così. Rabbioso e convulso mi stai facendo tua, nel modo in cui poco prima avevi picchiato quel tizio. La cosa mi eccita. Finalmente un uomo mi sovrasta. Mi dimostra il suo dominio. Dando sollievo al mio cervello, che finalmente si può rilassare. Ora c’è chi decide per me e del mio corpo. E’ tuo. Fallo vibrare a tuo piacimento. Usalo. Usami. Liberandomi dal giogo della paura nella quale ero confinata, mi hai legata a te. Ed ora ti offro la mia carne a ricompensa. Sento il peso del tuo corpo sbattere sul mio. Immobilizzandomi e schiacciandomi alla parete. La tua mano preme sulla mia bocca, impedendomi quasi di respirare. Sento i denti affondare sulla spalla e le dita premere sul bacino, serrandomi al tuo. Mi fai male. Mi piace. Non ti fermi. Non mi chiedi il permesso. Mi stai usando. E’ liberatorio, per entrambi. Interminabili minuti di violenza lacerano la mia carne. Ferendomi. Il mio istinto tenta di prendere il sopravvento. Facendo leva con le braccia, tento di scrollarti di dosso. La tua mano si sposta dal mio ventre, afferra prima un polso, poi l’altro. Me li porta sopra la testa, facendomi sbattere il viso contro il muro. Lo volto di scatto, per salvalo dalla tua furia e riuscire a respirare. Mi inchiodi le mani al muro con le tue. Me le premi fino a farle intorpidire. Mi hai totalmente immobilizzata. Una voce roca e nuova, mi sussurra all’orecchio: “Mia”. Quando ormai spero che ti fermi, che tutto questo finisca, che torni ad essere quello di sempre. Un’ultima spinta mortale mi lascia senza fiato, con la bocca spalancata. Resti lì inerte, schiacciato addosso al mio corpo e dentro alla mia carne. Pochi secondi di pausa rarefatta e ti lasci scivolare fuori, inginocchiandoti. Sento del liquido caldo uscire dal mio solco. Non so se sia sangue o seme. Mi giro. Vedo il tuo viso chino, lo prendo, lo premo contro il mio ventre. Lo stringo in un abbraccio quasi materno. “Quello, mi ha detto che tu eri sua. Per un attimo gli ho creduto e ti ho vista con lui. Non ho capito più niente. Tu sei mia! Sei la mia donna.”
L’acqua calda scintilla su di noi, bagna le mie lacrime e forse anche le tue. Confondendo dolore e piacere. Vittima e carnefice.

15 marzo 2011

Adesso pagami !

La prima volta che me lo avevano proposto ne ero stata schifata. E’ successo in chat. Un tizio non si è manco presentato e mi ha scritto: “Ti piacerebbe provare ad essere pagata per fare sesso con me?” . Non sono mica una di mestiere, mi sono detta sdegnata. Con tutto il rispetto verso chi fa la professione, con molta meno ipocrisia di quelle che si prostituiscono nel lavoro, in banca o addirittura in famiglia. Ma io che c’entro ? Io sono diversa, non voglio essere pagata per fare quello che mi piace fare. E poi non saprei come si fa. Quanto varrebbe un’ora con me ? Poi …un’ora ? Basta ? E da quando la dovrei far partire ? Da quando lo spoglio ? Da quando mi spoglia lui ? E se lo vuole fare da vestito ? Insomma è chiaro che il campo non è il mio, quindi è meglio se lascio perdere. Però… Però un giorno chiacchierando di fantasie con il mio Porco amichetto di giochi, ci siamo imbattuti in questo argomento. “Lo faresti ?” mi chiese. Non saprei, avrei paura di trovarmi un maniaco in camera, però…! Però se magari tu fossi nel bagno, pronto ad intervenire nel caso qualcosa andasse storto…credo che si potrebbe fare. “Allora te lo procuro io, il cliente. Voglio farti da pappone per una volta. Contratto io il prezzo, tu dovrai solo farlo felice come sai far felice me.” Non ne parlammo più, per settimane. Il mio amico sa che la cosa peggiore da fare con me, è insistere. Per partito preso punto i piedi come i muli e non mi smuovi più. Una sera mi venne a prendere per cena, mi aveva detto che sarebbe passato presto e mi avrebbe portata in un posticino carino, ma lontano. Alle 18 suonò il campanello, aprì la porta e mi trovò pronta. Tubino nero, autoreggenti con balza rossa che si intravedeva appena, scarpe rosse tacco dodici. “Sei perfetta!” - Perfetta per cosa ? - “Per la tua prima marchetta!”.  Sgranai gli occhi incredula. L’hai fatto sul serio ?! Ma dai, non vale. Non così. Senza preavviso ! “Dai su, poche storie e sali in macchina, non abbiamo molto tempo. Il tuo cliente ci aspetta alle 19 in albergo.” Mi ammutolii, non volevo dargli la soddisfazione di fargli sapere che la cosa mi stava eccitando e parecchio. In macchina restai imbronciata, lui allungò una mano, la infilò sotto la gonna, sentendo quanto ero bagnata. “Lo sapevo ! Chissà cosa ti sta già frullando in testa, Puttanella !” disse sorridendo compiaciuto. Arrivati all’hotel, ci accomodammo sul salottino della hall. Lui scattò una foto alle mie scarpe e  mandò un mms al mio cliente, così mi avrebbe riconosciuta appena entrato e non sarebbe rimasta traccia del mio viso. Bevemmo qualcosa, poco prima dell’ora prevista, si alzò: “Vado su in camera, cercherò di stare nascosto in bagno senza fare troppo rumore. Fai la brava, anzi no…fai la porca !”. Non sapevo cosa fare. Se andarmene e dichiarare la mia resa o restare ad affrontare quest’altra avventura nella quale mi ero cacciata. Presi il cellulare, cercando di far passare i minuti che mancavano, cancellando i vecchi messaggi. Giusto per non pensarci troppo. Dopo un po’ un paio di piedi si fermarono davanti ai miei. Scarpe nere, eleganti. Pantaloni grigi, giacca, camicia, cravatta e la faccia di un uomo sulla quarantina, che tenta di nascondere l’acquolina alla bocca che gli era venuta al solo guardarmi. Mi venne un brivido che mi fece venire la pelle d’oca in tutto il corpo. Era adrenalina pura! Decisi che potevo anche provare a saltare da quell’aereo, tanto il mio paracadute era in bagno. Mi diedi un tono, un’aria vissuta quasi annoiata, di quella che  queste cose le fa tutti i giorni. “Che ne dici di salire in camera ?” gli dissi voltandogli le spalle per farmi seguire. Guardai la tesserina magnetica, numero 327, terzo piano di solito. In ascensore lo guardai, gli sorrisi. “Prima volta con una che non conosci, vero?”. Mi rispose che lui queste cose non le fa mai, ma che il suo collega, un tipo del quale non si sarebbe sospettato che potesse girare in certi ambienti, gli aveva parlato bene di me. Si era persino preso la briga di coprirlo con la moglie, mandandogli una mail, accennando ad una riunione che sarebbe andata avanti fino a sera tardi. Arrivati alla porta della camera, strisciai la tessera lentamente, guardandolo come avrebbe fatto il bigliettaio del Paese dei Balocchi. “Ecco adesso chissà cosa penserai, ma io non so come…” Non gli lasciai terminare la frase, mi leccai un dito e glielo misi sulle labbra per farlo tacere e fargli sentire il mio sapore. Gli slacciai i pantaloni, lo feci sedere sul letto, mi voltai e gli chiesi di tirarmi giù la lampo del tubino. Lo tolsi e restai in biancheria, nera. Feci una lenta piroetta per fargli vedere tutta me e poi mi inginocchia davanti a lui. Alle mie spalle sulla destra, l’anta dell’armadio a specchio gli dava la visuale del mio sedere. Infilai due dita tra la sua pelle e l’elastico dei boxer. Con l’altra mano lo feci scivolare fuori e lo assaggiai, ungendolo di saliva. Mentre la mia lingua si occupava del suo piacere, sentii la porta del bagno davanti a me, accanto al letto, sbaciarsi. Era il mio amico, non riusciva a starsene buono dietro la porta, doveva dare una sbirciata. Rischiava di mandare tutto all’aria, il tipo avrebbe potuto vederlo riflesso ! Mi alzai per coprirgli la visuale, facendogli credere di volergli slacciare la cravatta per farlo stare più comodo. Lui ne aprofittò per prendermi il seno tra le mani, tirami giù il reggiseno e succhiarmi i capezzoli. Ansimai di piacere, come se la cosa mi facesse perdere la testa e lanciai un’occhiataccia al mio amico per intimargli di sparire dietro la porta. Appena in tempo, perché il mio cliente si alzò dicendomi: “Mi fai impazzire. Girati, voglio vederti allo specchio mentre ti scopo.” Mi voltai, le sue mani mi frugavano ovunque, affamate. Cercai di non far trapelare il mio divertimento in viso. Avrebbe potuto fraintendere e prendersela a male. Vederlo così eccitato mi faceva sorridere, ma non di derisione, bensì di compiacimento. Dalla tasca interna della giacca tirò fuori un preservativo e non mi lasciò il tempo di sbrigare per lui quell’incombenza. Era troppo eccitato. Mi mise una mano al centro della schiena, per farmi piegare in avanti. Appoggiai le mani ai lati dell’anta aperta, lasciandogli la visuale del mio seno riflesso e di me pronta ad accoglierlo. Mi spostò il tanga e me lo infilò. Restò così immobile, cercando di non lasciarsi andare troppo presto. Sentendo che la mia carne non faceva troppo attrito, chiusi le gambe, per stringerglielo bene. Piegai le ginocchia e cominciai a strusciarmi, lentamente. Mi urlò. “Ferma, stai ferma o vengo subito.” Mi rilassai, alzai la testa e restai a guardarlo riflesso. Se ne stava ad occhi chiusi, credo stesse pensando ai momenti più brutti della sua vita, per far defluire il sangue. Dopo un po’ decise che era arrivato il momento giusto per cominciare. “Che culo fantastico, li vale proprio i soldi che spendo.” Penso stesse davvero parlando al mio sedere e infatti con lui e solo con lui si divertì. L’idea di un uomo al quale piacesse così tanto il mio lato b, da pagare per averlo, dava piacere al mio ego portandomi a livelli di eccitazione impensati. In bagno c’era chi stava ascoltando i miei gemiti, quindi alzai il volume, per farmi sentire attraverso la porta. Sapevo che una mano stava simulando quanto accadeva alle mie spalle. In pratica stavo rendendo felici due uomini contemporaneamente. Decisi di concedere al mio cliente anche il lusso di finire in bellezza, abusando della mia porta sul retro. Senza toccarlo,  mi sfilai, divaricai le gambe, appoggiai le mani sul solco e glielo offrii senza dire una parola. Lui gradì l’offerta: “Dio, questo è il massimo!”. Penetrò la mia carne e dopo poco venne. Non fu poi tanto male, anzi. Il mio cliente era stato così gentile da farmi persino godere sul serio. Non l’avevo preventivato. Alla fine, l’oretta trascorse velocemennte e vedendo che stava fissando l’orologio con aria preoccupata, pensai che dovesse correre a cena dalla mogliettina. Anticipando ogni sua eventuale richiesta, gli dissi che volevo farmi una doccia con calma. Lui ovviamente mi rispose che doveva proprio andare. Lo salutai come all’inizio del nostro incontro, appoggiando un dito bagnato di me sulla sua bocca, ma stavolta non lo leccai con la lingua. Prima di uscire mi disse che aveva dato i soldi al suo collega e che lui me li avrebbe dati appena lo avrei rivisto. Aprii la porta del bagno, incrociai lo sguardo soddisfatto del mio protettore e gli dissi sorridendo: “Adesso pagami !”

08 marzo 2011

Il mio mentore

In molti ormai leggendomi si saranno fatti un’idea della femmina che sono e della donna che sono diventata. Alcuni si chiedono come ho fatto, almeno per quel che riguarda il sesso. Tutta colpa di un uomo. Come al solito ! E della mia attrazione verso quelli più grandi, complessi e complicati. Troppo facile avere a che fare con i miei coetanei, per una che fin da piccola aveva acquisito le tattiche di seduzione sul campo. Ed era anche fin troppo banale e noioso avere a che fare con uomini che capitolavano frettolosamente di fronte al mio burroso corpo di donna acerba. Molto meglio giocare con uno stimolante fuoriclasse. Uno al di sopra della mia portata, ma non troppo. Poco più che ragazzina io, uomo fatto ed esperto lui. Una sola esperienza di sesso nel mio passato, infinite donne sedotte nel suo. Un faro nella notte, lo definiva la mia amica. Belloccio, ma soprattutto carismatico. Uno di quelli che si fa notare in una stanza affollata. Per temperamento e modo di porsi. Anche solo stando fermo e muto. Era per come scrutava la gente, anzi le donne. Solo le donne. Le guardava con l'attenzione compiaciuta di chi sa leggerle e carpirne segreti e punti deboli. Teneva un mazzo di chiavi nel suo borsello ed ognuna di esse, apriva la porta di qualsiasi tipo di donna creata. Quella ferita, quella compiaciuta di se. La madre, la capo ufficio. Quella che fa la prima mossa e quella che aspetta il suo turno. Perché tanto con uno così, il proprio turno arriva sempre. Prima o poi, lui il tempo per te lo trova. Quella sera toccava ad Alice. Era scritto nel suo destino, anche se lei non lo sapeva. Era un venerdì sera. Mi ero preparata a dovere, ma per un altro. Un ragazzino che non aveva retto alla mia intraprendenza, dandosela a gambe prima ancora di sedersi al banchetto. Così avevo deciso di vendicarmi e di far salire in auto quell’uomo che al corso mi scrutava, con un sorrisetto compiaciuto. Un gruppetto di gente stava andando in discoteca e decidemmo di seguirli. In auto ci scambiammo solo qualche battuta. Nervosa e arrabbiata io, calmo e gioviale lui. Aveva capito il gioco della ragazzina e aveva tutta l’intenzione di aprofittarne. In fondo se uno era stato talmente sciocco da non acchiappare al volo un’opportunità simile, perché non avrebbe dovuto rimediare lui. I balli di gruppo divennero pretesti per fugaci toccatine e in un lampo tutta la gente intorno, sparì dietro ad una cortina di fumo giallognolo. Rimanemmo solo noi due o almeno così mi sembrò. A ballare come in quel film in cui “nessuno può mettere Baby in un angolo”. Ricordo solo il suo modo di cingermi la vita. Forte. Tenendomi stretta a se. Mi guardava dritta negli occhi, cercando qualcosa o vedendo qualcun altra che ancora non sapevo di poter essere. Un uomo mi stava facendo sentire la sua donna. Non avevo bisogno di altro, per essere eccitata e desiderosa di essere sua. Ce ne andammo, lo riportai alla sua macchina lasciata nel parcheggio del centro. Lo avevano divertito la mia guida sportiva e il mio atteggiarmi da esperta guidatrice. Scese, fece il giro, aprì il mio sportello e mi fece dondolare le chiavi della sua auto davanti al naso. “Vuoi provare a guidare con il cambio automatico ? Prova il mio, è tutta un’altra cosa “.  Mi impartì un paio di consigli e partimmo. Sempre più divertito e rilassato lui, sempre più nervosa e spiazzata io. Gli chiesi dove stessimo andando. Mi disse: ”Da nessuna parte, ma se accosti tra dieci metri, siamo sotto casa mia.” Non osai batter ciglio. In fondo che poteva mai essere una situazione simile, per una navigata donnina come me ? Ostentai uno degli ultimi bricioli di sicurezza che mi rimanevano in tasca e salii le scale. Come il più abile dei burattinai stava facendo muovere la sua bambolina, facendole credere di essere autonoma. Mi fece sedere sul divano, lui mise un cuscino per terra davanti a me e ci si posò sopra. Mi sfilò uno ad uno gli stivali, massaggiandomi i piedi e chiacchierando di letteratura. Un uomo colto, intelligente, prestante e gentile mi stava coccolando e riempiendo di attenzioni. Come avrei potuto esimermi dal cedere e concedergli ciò che finora non si era neppure posto il problema di chiedere. Non occorreva. Non c’era fretta. Né esigenza. C’era solo volontà di giocare a vedere quando avrei ceduto. Mi disse che l’odore del fumo della discoteca gli dava fastidio. Se lo sentiva addosso. Andò verso il bagno, “stai pure lì mentre io mi faccio una doccia veloce”. Stai pure lì ? E per forza dove vuoi che vada? Sono qui, non so nemmeno bene dove e ci sono arrivata con la tua auto! Le note di quella che poi diventò la nostra canzone, mi tennero compagnia. Da quel momento in poi, ogni volta che avrei pensato a lui, mi sarei sentita “tra le braccia di un angelo”. Intanto pensavo a cosa avrei dovuto fare. A quello che lui forse si aspettava da me. A quello che sicuramente non avrei dovuto, ma che tanto volevo provare a fare. Nei miei sogni di donna mi sarei alzata, lo avrei raggiunto in bagno, togliendomi i vestiti uno ad uno di fronte a lui e finendo col lasciarmi bagnare d’acqua e di passione. Ma ero piccola e insicura. Mi sentivo tremendamente fuori posto e stupida. Mi alzai, diretta verso la porta d’entrata, non so bene con quale piano per ritornare alla mia auto. Lui uscì, asciugamano in vita, capelli bagnati. Non disse una parola. Si avvicinò lentamente, mi prese per la vita e mi assaggiò. Sentii la sua pelle bagnare il mio viso e la saliva mischiarsi alla mia. “C’è un altro asciugamano in bagno, è pulito, usalo. Ti aspetto a letto”. Non mi chiese nulla. Non ordinò nulla. Diede semplicemente voce ai miei pensieri. Chiusi gli occhi, entrai in bagno e decisi di dare un morso al biscotto che mi avrebbe fatta crescere di colpo, facendomi diventare la donna che sono. Non avvenne tutto quella notte, ma fu l’inizio. Uno ad uno mi tolsi tutti i veli della mia inesperienza. L’acqua ricoprì la pelle bianca, lavando via il mio profumo di ragazzina e il sudore dell’eccitazione. Uscendo dalla doccia, gocciolante di paura e di desiderio, avvolsi il mio corpo in un asciugamano bianco. Come una messale, ero pronta ad essere iniziata al mondo del piacere adulto. Non potevo sapere cosa mi stesse aspettando! All’uscita dal bagno, trovai una sola piccola luce a darmi la direzione verso la quale andare. Entrai in camera, vidi un baldacchino in legno con sopra un grande letto ad un metro dal soffitto. Una scaletta per arrivarci. Ad ogni gradino, l'asciugamano si slacciava. Lo lasciai cadere all'ultimo. Gli occhi di un uomo con il doppio dei miei anni, mi attendevano. Mi disse di sdraiarmi, mi accarezzò le spalle e la schiena, sentendo la mia tensione. Adagio, sciolse ogni mio muscolo e con lui ogni mia ritrosia. Ad un tratto mi resi conto di essere nuda, distesa accanto ad un uomo nudo. Volevo che sapesse che non ero una inetta donnina acerba. Così mi girai e la mia bocca si diresse subito verso il centro del suo piacere. Mi fermò. “Non è così che andrà. Non sarà una cosa veloce, né una cosa che hai già provato. Sarà nuovo, intenso e te lo ricorderai per tutta la vita. Si chiama Tantra. Ed ha bisogno di tempo.” Non sapevo se stesse dicendo sul serio o se scherzasse. Se mi stesse prendendo in giro o che altro. Sapevo solo che un uomo eccitato se ne stava sdraiato di fianco a me, senza passare alla frettolosa fase successiva. Dandomi il tempo di accettare questa nuova condizione, senza la paura che l’attimo svanisse. Mi accarezzò tutta, sfiorandomi con i polpastrelli e la lingua. Soffermandosi in quelli che poi scoprii essere i miei punti erogeni. Mi stava perlustrando, centimetro dopo centrimetro, portandomi ad un livello di eccitazione mai provata. Mi fece girare, mi baciò accarezzandomi il viso, i capelli. Intervallando tenerezza all’eccitazione, mi stava facendo raggiungere un orgasmo mentale, prima ancora che fisico. Era come andare in altalena. Ogni volta che pensavo di aver raggiunto il punto più alto, mi sentivo scivolare via. Apprezzando anche il senso di vuoto, che si prova nel lasciarsi cadere. Per poi ricominciare di nuovo a salire, cercando di raggiungere la vetta assoluta. Finalmente si decise ad entrare in me. E come tutto fino ad allora, anche quel gesto fu estremamente lento. Stupita da tanta immobilità, non sapevo cosa fare. Un suo sussurro all’orecchio, dileguò anche quel dubbio: “alza le gambe, appoggia i piedi al soffito e dirigimi verso il tuo piacere”. Mi lasciò sbigottita ! Avevo un uomo sopra e dentro di me, ma potevo decidere io come farlo muovere ? Fù una rivelazione che cambiò repentinamente la mia visione del sesso. Non fui mai più passiva, tranne che per mia volontà. Seguii le sue indicazioni, piedi sul soffitto, inarcai la schiena e dondolai il bacino decidendo profondità, frequenza e durata della sua penetrazione. Lui si godette lo spettacolo, quanto il più orgoglioso Pigmalione può esserlo dopo aver plasmato la sua creatura dalla creta. Quello che ne seguì furono incontri di sesso magico, in cui il raggiungimento del mio piacere era la base per cominciare a godere entrambi e non l’inutile ornamento di una visione alquanto egocentrica e maschilista dell’uomo medio. Nessuna spinta ossessiva, nessuna fretta spasmodica di arrivare (ma poi dove ?). Soltanto il giocoso girovagare nell’altrui fonte del piacere. Mi marchiò a vita dicendomi: “sei nata per fare sesso”. Lo presi come la lode, del maggior punteggio ottenuto all’università della vita.

01 marzo 2011

Ritorno da quello della chat

Sono tornata da lui ogni tanto. Il nostro solito rituale. Accordi precisi in chat. Un'orario, il citofono, le scale, la porta del suo ufficio che si apre, la benda sugli occhi e la sua schiava pronta ad eseguire cio' che lui vuole. Tutto come da programma. Tranne quella volta. La volta in cui tutto cambio'. Intenti come eravamo nei nostri piaceri, non sentimmo la porta pricipale aprirsi. Udimmo solo quando sbatte', chiudendosi. Eravamo nell'ufficio in fondo al corridoio, pochi metri ci separavano da chiunque fosse entrato. Mi disse di rimanere li' immobile, ancora bendata. Obbedii. Lui si rimise i pantaloni e si allontano'. Sentii che una voce maschile salutava il mio amico sconosciuto. Era il suo capo. Parlottarono qualche minuto. Poi lui rientro' dicendomi, che era nei guai. Che era sposato e che quell'incidente avrebbe avuto delle conseguenze enormi per lui. Ma il suo capo era disposto a chiudere la faccenda, se avesse potuto partecipare ai nostri giochi. Accettai, pensando che volesse solo guardare. Lui ando' ad avvisare il suo capo, il quale entro' subito dopo nella stanza. Un odore di colonia dozzinale permeo' la stanza all'istante. Non era sicuramente giovane. L'atmosfera si era raggelata. Il mio amico mi si avvicino'. Ero in piedi davanti ad una scrivania senza gonna, solo calze e perizoma. Mi tocco' tra le gambe. Ero calda e bagnata, eccitata ed impaurita. “Mettiti in posizione” mi ordino'. Mi piegai in avanti, a novanta gradi, mani sul tavolo. Mi infilo' le dita ovunque la' dietro, con foga! . Ero bagnatissima, frastornata da tanta irruenza, sentivo la mia carne cedere a quella brutale ma eccitante violenza, davanti e dietro. Dentro e fuori, ripetutamente, freneticamente. Spingeva uno, due, tre, quattro dita dentro. Si fermava, per riprendersi. La sua eccitazione era tale da non riuscire a trattenere la saliva che sentivo gocciolare sul sedere. Credo sia riuscito a infilare l'intera mano un paio di volte, perché l’ho sentito gemere più forte. Poi d'un tratto si fermo'. “Ecco dottore, e' pronta. Se la goda.” Mi aveva preparata per il suo capo! Il quale aveva assistito allo spettacolo calandosi i pantaloni e masturbandosi per bene. Il mio amico si mise seduto sulla scrivania, davanti alla mia faccia. “Metti le mani sulle mie gambe e stringi, fammi sentire quanto godi a farti scopare dal mio capo. E intanto tienimelo in bocca.”
Nel frattempo, sentivo avvicinarsi una presenza molle alle mie spalle. Era un corpo flaccido, che a contatto con la mia pelle si rinvigori'. Lo sentivo pulsare, anche se ancora fuori da me. Due mani mi spalancarono le natiche e due dita fredde, entrarono nella mia carne. “Sente quanto e' bagnata? E' pronta, si faccia sotto.” Io intanto non fiatavo, aspettando di sentire cosa mi avrebbe penetrato. Appena sentii le dita uscire, entro' la punta del suo pene e a fatica infilò tutto il resto, lentamente facendosi strada in quella carne fremente.
Non era del tutto in forma, il nonnetto ! Ma si riprese subito, non appena contrassi il sedere, glielo strinsi talmente tanto da farglielo resuscitare. Comincio' a pompare, avanti e indietro! Il poverino non aveva tanto fiato e non duro' molto, il cuore non gli avrebbe retto lo sforzo. Intanto stringevo le cosce al mio amico, che si godeva la mia lingua, la mia bocca e i miei gemiti di piacere. Oltre alla vista del suo capo nel mio culo!  Impagabile, disse. Per alcune volte successive in cui riproponemmo la stessa scena al suo capo, per saldare il debito e mantenergli il posto di lavoro.