La parte più erotica del mio corpo è il CERVELLO. Senza, sarei soltanto un pezzo di carne sui tacchi.

I miei racconti

23 febbraio 2011

Il pianista

Incontrarne uno per una donna equivale a vincere un biglietto gratis per il paese dei balocchi ! Di solito si tratta di un uomo normalmente dotato la' sotto, ma con uno smisurato ego. Uno a cui piace vedere la donna godere, contorcersi e mugugnare fino a possederla letteralmente tra le sue mani.
Sadico al punto giusto e consapevole del proprio potere da fermarsi poco prima del momento della perdita della ragione di una donna, per farsi implorare di continuare. Li adoro! Perche' arrivata ad una certa eta', dopo aver provato molto (mai tutto) sull'argomento sesso, un solo modo di godere non basta! Nella mia collezione non poteva mancare, un pianista d’eccezione. Ogni tanto viene a trovarmi, quando sa che in ufficio sono sola e annoiata. La settimana scorsa ho deciso che mi meritavo un premio, dopo un lungo e snervante periodo di lavoro. Così mi sono presa la mattinata libera e gli ho proposto di fare colazione assieme, a casa mia. Come da abitudine, dieci minuti prima del suo arrivo manda un messaggio per avvisarmi, la prudenza non è mai troppa. La mia risposta è stata: “Troverai la tavola imbandita”. Non credo si aspettasse di trovarmi stesa a pancia in giù sopra al tavolo, nuda e con attorno una selezione di alimenti da potermi spalmare addosso. Panna, miele, yogurt. Oltre a qualche giochino per adulti e dei fantastici cubetti di ghiaccio fatti a forma di piccoli cilindri (secondo me chi ha brevettato quella formina, l’ha pensata esattamente per l’uso che ne ho fatto io, altro che “ghiaccioli per le bottiglie”!). Mi passa una mano lungo tutta la schiena, facendo terminare la corsa tra le mie gambe. Sono già maledettamente eccitata al pensiero di quelle dita, lui lo sa e se ne gongola. Mi allarga le gambe, comincia a stuzzicarmi le labbra, mi sta accordardo con accuratezza come il più professionale dei pianisti prima di un concerto. Mi spruzza un ciuffetto di panna su entrambe le natiche. Le lecca. La sua lingua segue il mio solco, fino a trovare la mia lava incandescente. Ci infila un paio di dita, finalmente! Il suo tocco è delicato, velluto che si insinua dentro me. Le lascia lì ferme, le allarga e le chiude. Le rotea attorno alla mia carne che fremere. Sono già in un altro pianeta, quello del piacere. Prende il ghiaccio, lo intinge in me e me lo porta alla bocca. Ne prende ancora e lo infila sotto, lasciandolo a sciogliersi al solo contatto con la mia carne. Mi alzo e mi metto seduta sul tavolo, lui sulla sedia davanti a me. Sotto al mio sedere un lago di ghiaccio sciolto e di mie voglie bagnate. Un pollice si prende cura del mio clitoride, appena lo appoggia fremo, è troppo eccitante. Lo toglie, lasciando il tempo di riprendermi. Torna a sfiorarlo appena. Mi sdraio, cercando di controllarmi. E’ assurdo lo so, ma quello è il mio piacere più intimo. Il primo ad essere stato scoperto quando ero piccola, molto piccola. Quello che resta il prediletto nei momenti più privati, “tu sola dentro una stanza e tutto il mondo fuori”, cantava Vasco. Lui sa che deve essere delicato. Occuparsi di quel piacere è un’arte, quanto saper fare il solletico. E’ un crescendo, lento e armonioso. Il tocco deve essere stuzzicante e mai invadente. Carezze soffiate da un suo dito, al mio bottoncino magico. Che se ne sta al riparo rintanato nella mia carne. Dicono che il clitoride sia paragonabile ad un piccolo pene, con una sensibilità almeno il doppio superiore al glande maschile. Quindi siate gentili con lui e ve ne sarà grato. Movimenti circolari, sottili e leggeri fino a farlo ingrossare, pulsante di eccitazione. Ecco che la pressione del dito del mio pianista diventa più forte, mai troppo. I miei gemiti gli danno il ritmo, come pure i sussulti del mio bacino. E’ un crescendo di intensità, paragonabile al piacere di quel brivido che ti fa venire la pelle d’oca su tutto il corpo, quando qualcuno ti passa un dito lungo la schiena. Solo che il brivido parte da dentro il pube e si diffonde a raggera in te. E quando il picco è raggiunto e il piacere è arrivato, il tocco ritorna ad essere sfiorato, lento. Sta suonando il miglior canone inverso che sia mai stato composto. Non appena le convulsioni cominciano a scemare e il battito del mio cuore tenta di tornare alla normalità, qualcosa di ruvido, bagnato e caldo avvolge il mio piacere, riportandomi nella perdizione. La sua lingua è arrivata a dare il cambio alle dita, che lentamente scendono per intrufolarsi dentro me. Una frustata di piacere mi fa inarcare la schiena. Lui si alza in piedi, per vedermi. Vuole godere della mia espressione estasiata. Lascia le dita immobili. Due, sono più che sufficenti. Lui sa che il piacere di una donna non è in un buco da riempire, ma in migliaia di terminazioni nervose che si trovano sulla soglia di quel buco.  Le lascia unite e comincia a rotearle, facendomi impazzire di desiderio. Movimenti circolari e lenti, mi torturano piacevolmente. Non riesco a tenere fermi i piedi. Non riesco a trattenere i mugugnii, che diventano urla ansimanti. Ma quando penso di aver raggiunto la perdizione assoluta, quelle dannate dita mi riservano il più delizioso dei piaceri di donna. Ruota la mano, palmo in su e le dita si piegano dentro di me, cercando il leggendario punto g. Un piccolo lembo di carne spugnosa nascosta certamente da un creatore della vita oltremodo maschilista. Perchè non ha voluto concedere troppo facilmente, un piacere così grande ad Eva. Con le punte, me lo sfiora per poi strusciarci sopra le falangi, non troppo delicatamente. Una lama di calore mi penetra tutta. Mi deve tenere ferma al tavolo, tanto è forte la sensazione. La testa è evaporata via e con lei il senso della ragione. Sono totalmente sua. Ammaliata dalla sua capacità di farmi godere, lo seguirei ovunque. Ora potrei concedergli tutto! La porta sul retro, il pin del bancomat e persino decidere di sposarlo.
Beh non esageriamo, quello no. Mai !

15 febbraio 2011

Uccelli di rovo

Non potevo crederci, era vero ! Quell’uomo alto, prestante e premuroso conosciuto al diving, che era diventato il mio compagno di immersioni in quelle vacanze, era un prete ! Mi aveva persino fatto vedere il tesserino Padi, con tanto di foto in abito talare con il collare bianco ! Nei due giorni precedenti passati in barca, mi aveva dato l’impressione di essere un uomo molto colto. Avevamo spaziato in argomenti tra il serio e il faceto, ma sempre con grande intelligenza e profondità. Non avevo indagato sulla vita personale. Francamente non mi interessava. Era un ottimo e affidabile sub, educato e gentile sopra e sotto l’acqua. Per il resto sembrava uno riservato. Appena scesi dalla barca salutava con un sorriso e spariva fino al mattino successivo. Pensavo fosse lì con moglie e figli. E invece, guarda cosa scoprivo dalla battuta di una ragazza: “mi raccomando voi due, a non fare la replica di Uccelli di Rovo !”. Se doveva essere un modo per scoraggiare le mie intenzioni, sortiva l’opposto intento. Un prete mi mancava nella collezione ! Gli feci l’occhiolino di femmina attizzata da questa sorpresa. Lui rispose con uguale segnale, di uomo vissuto e abituato a queste provocazioni del diavolo tentatore. Credo fosse divertito dalla mia reazione. Meglio di uno psicologo conosceva l’animo umano e le sue debolezze. In fondo i sacerdoti, sono solo uomini che hanno fatto voto di celibato, non di castità, a differenza delle colleghe di sesso femminile. Lo so perché una come me, non può che aver studiato in un collegio cattolico, ovviamente.
Da quel momento cambiò tutto. Il modo di togliermi i vestiti per restare in costume in barca. Il modo di sdraiarmi accanto a lui a prendere il sole, chiedendogli di spalmarmi la crema sulla schiena. Il modo di farmi aiutare a chiudere la cerniera della muta, pregandolo di fare attenzione a non pizzicarmi. Tutto era finalizzato a sedurlo. Provocazioni sottili, mai volgari. Ero intenzionata a strisciare nei suoi pensieri lascivamente, come soltanto una serpe sa fare. Padre mi perdoni, perché fra non molto, avrò peccato. E lei con me !
La regola della settimana di ferie la conosciamo tutti. La sera ideale per realizzare la meta è quella del giorno prima della partenza. Se va tutto bene, resta un bel ricordo. Al contrario se l’avventura di una notte si rivela un disastro, ognuno torna a casa sua entro poche ore, evitando imbarazzanti saluti ti circostanza. Quindi sapevo che quella sera era quella giusta. Passai tutto il giorno a lanciare ami e lui ad abboccare. Prima di me aveva capito dove volevo arrivare e perché. Era una sfida a chi cedeva per primo. E visto che era lui la mia preda, non fece una mossa. Aveva delegato a me il ruolo di cacciatrice e io abituata e determinata, ci sguazzavo. Arrivati al molo, prima dei saluti, gli dissi: “7 1 3  2 1” , lui mi chiese ironicamente se era il mio numero di scarpe. “I primi tre numeri ti dicono dove trovarmi, gli ultimi due a che ora ti aspetto” Sorrisi e me ne andai. Dentro di me un fuoco divampò e qualcosa ne uscì fuori, passando tra le gambe. Rientrai in camera, mi sdraiai sul letto per dormire un po’, dovevo essere in forma per la serata. Quando mi svegliai era tardi, mancava un’ora all’appuntamento e non avevo cenato. Mi infilai in doccia, passai il rasoio in fretta, mi asciugai e scelsi cosa indossare. Che gusti avrà un prete ? Era un tipo misurato, ma lo sguardo era quello birichino di un uomo, non di un santo. So che mi aveva guardato il seno, deglutendo l’acquolina che gli aveva inondato la bocca. Qualcosa di scollato. Minigonna bianca senza intimo, sandali e top neri. Uscii in fretta per mangiare qualcosa al volo. Quella sera la gente mi guarda con più insistenza. Forse avevo esagerato, la gonna è davvero troppo corta. Pensai. “Chissenefrega, domani questi non li ricorderò neppure !”. Trangugiai qualcosa e tornai verso la camera. Sulle scale in penombra, sentii dei passi scendere verso di me. “Stavo venendo a cercarti” mi disse il prete, si fermò e mi sorrise. Alzai lo sguardo e con tutta la sfrontatezza possibile risposi: “Oppure te ne stavi scappando con la coda tra le gambe, per non affrontare le tentazioni del diavolo ?” .
Mi prese la mano, mi tirò a sé per darmi un bacio. Mi girai di lato, sentii la sua lingua sul collo e un sussurro all’orecchio: “Lasciamo le questioni teologiche ai vescovi e concediamoci ai piaceri della carne, donnina indisponente”.
Mi infilò una mano sotto la gonna e alzò il sopraciglio sentendo la pelle del mio sedere nudo scivolare sotto le sue dita. Mi spinse contro il muro, baciandomi. Si sbottonò in fretta e mi penetrò lì sulle scale. Tutto il villaggio turistico stava cenando, mentre io avevo lasciato intingere la particola di un prete, nel mio calice di desiderio.
La cosa durò poco. Con mia grande soddisfazione, mentale ma non carnale. Ero riuscita a far perdere il controllo ad un uomo che dell’autocontrollo aveva fatto la sua missione di vita. Ma non ero sazia, ora dovevo godere io. Lo baciai, a lungo. E poi gli dissi di entrare in camera mia. Mi chiese di andare in bagno. Lo lasciai tranquillo per qualche minuto, poi lo raggiunsi. Era stupito dalla mia mossa, forse pensava che potessi considerare conclusa la cosa, con la sveltina di prima. Entrai e guardandolo, mi sfilai la gonna, slacciai il reggiseno, tolsi il top e restai nuda davanti a lui. Entrai in doccia: “devo lavarmi dal peccato” e con sensualità mi feci bagnare dall’acqua, accarezzandomi dolcemente tutto il corpo. Lui se ne stava fisso a guardarmi. Pietrificato. Le carezze divennero più intime. Davanti a lui, una donna si stava toccando sotto la doccia. Non si mosse. Allora uscii io, lo feci sedere sul water e mi sedetti sopra. Bagnata fradicia di acqua e di desiderio, gli inzuppai i vestiti. Gli tolsi la camicia, sbottonai i pantaloni e feci uscire la sua carne. Cominciai a strusciami, facendolo trasalire di desiderio. Credo non avesse mai nemmeno immaginato che il diavolo potesse arrivare a tanto! Rincarai la dose, inginocchiandomi davanti a lui e prendendoglielo in bocca. Solo così il vigore di qualche minuto prima, tornò a renderglielo duro. Sapevo che non era abituato a trattenersi, quindi non mi ci dedicai molto, non volevo rischiare di finire troppo in fretta. Mi alzai, mi voltai e dandogli le spalle, mi sedetti sopra di lui, facendolo entrare in me. Le mie mani stringevano le sue ginocchia e le sue i miei fianchi. Restai così qualche secondo. Poi iniziò la mia danza. Lentamente mi concentrai sul ritmo delle penetrazioni. Cinque veloci e una lenta, profonda. Quattro veloci e due lente. Scalando via, via fino a farle diventare solo un’interminabile lunga spinta dentro di me. In quell’istante venne e anch’io. Restammo immobili, sfiniti e attoniti da quanto intenso era stato. Mi alzai e uscii dal bagno, sentii l’acqua della doccia scrosciare e dopo qualche minuto, uscì con l’asciugamano legato in vita e i vestiti in mano. Se ne andò senza dire una parola. Con un senso di colpa stampato in faccia. L’indomani, le solite trafile del rientro. Valige nell’atrio, pulmini stracolmi, strade impolverate. Lo cercai inutilmente tra gli imbarchi. Pensai si stesse nascondendo da me, la testimone del misfatto compiuto. Solo giunti all’aeroporto, sbucò da una fila di gente, mi raggiunse, mi guardò dolcemente e mi disse: “ho lasciato il sacerdozio un anno fa. Mi dispiace per la tua collezione, ma sono soltanto un uomo!”.

10 febbraio 2011

Il treno dei desideri (all'incontrario va)

Una notte di passione, lontano da tutto e tutti. Ce l’eravamo concessa a fatica.
Perché il nostro tempo doveva essere ritagliato e vissuto in clandestinità.
Nella consapevolezza che quel momento era destinato ad essere unico, non avevamo sprecato una goccia di quella dissetante acqua sorgiva, trovata in un’oasi a seicento chilometri da casa. Una notte indimenticabile e indimenticata. Il mattino dopo ci svegliammo, ci vestimmo e andammo verso la stazione, cercando di non manifestare troppo la tristezza che ci pervadeva l’anima. Avevamo altre sei ore per stare assieme, ma non più nell’intimità di una camera da letto, bensì in un affollato treno gremito di pendolari. I nostri corpi che si erano fusi fino a qualche ora prima, non riuscivano ad accettare questa nuova condizione di separazione, cercandosi furtivamente ad ogni occasione. Una mano mi sfiorava gentile, una gamba restava cocciutamente appoggiata alla sua. Il contatto fisico restò pressoché inalterato durante quasi tutto il tragitto, accrescendo la frustrazione del non poter più tornare ad essere di nuovo un corpo solo. Lui non è mai stato un uomo di molte parole, ma di azione. Il lavoro che aveva scelto di fare, rispecchiava la sua indole. Uno come lui lo si chiama durante le emergenze, quando si è in pericolo. E non ci si aspettano grandi discorsi, ma gesti e rapide valutazioni in grado di salvarti la vita. Ecco perché scesi dal primo treno per salire sul secondo, non dissi nulla quando mi fece segno di seguirlo fino all’ultima carrozza, che una volta partiti diventò la prima. Quella occupata per metà dal macchinista. Scelse di farmi sedere nella prima fila, una parete di lamiera davanti e pochi sedili vuoti dietro. Eravamo di nuovo soli nell’incombenza di toccarci. Lentamente il treno lasciò la stazione, per immergersi in un’anonima sequenza di case e alberi fruscianti. Lo guardai seduto accanto a me, ci baciammo con la stessa intensità di sempre. I nostri non erano semplici baci, ma vere e proprie dichiarazioni di passione eterna e reciproca. Non riuscii a trattenermi e mi sedetti sopra di lui. La mia pelle aveva sete della sua. Volevo che mi toccasse, mi possedesse, mi penetrasse ancora. Non potevo immaginare di sentire la nostalgia di lui, in posti in cui non era biologicamente possibile provare emozioni. E la frustrazione per non poterlo fare, accresceva la voglia, che divampava facendomi prendere decisioni azzardate. Gli sorrisi, lui mi guardò come si guarda una bimba che non si riesce a sgridare. Gli sbottonai i jeans e lo accarezzai. Sentii di nuovo la sua voglia pulsare tra le mie mani, desiderando di sentirla altrove. Alzai la svolazzante gonna estiva, dispiegandola sopra di lui. Ora potevo sentirlo vibrare tra le mie cosce. Me lo feci strusciare un po’ addosso, desiderando di farmi pervadere dal suo odore. La mia mano scivolò furtivamente sotto la gonna, spostando l’intimo e facendo strada alla sua carne nuda che trovò la mia, incandescente e bagnata, pronta ad accoglierlo di nuovo. Restai così inerte, per qualche secondo. Per poi iniziare a dondolarmi, strusciarmi e muovermi lentamente. Tutto attorno a noi stava scorrendo, il paesaggio sui finestrini, lo scompartimento sulle rotaie e lui dentro me. In estasi per la ritrovata unione dei nostri corpi, non ci accorgemmo della comparsa di un uomo in divisa blu. Non so se per miopia o abitudine, non fece caso a noi e gli fummo grati di non aver interrotto la nostra danza. Restammo accoccolati a lungo, l’uno dentro l’altro quasi immobili, in quell’abbraccio totale, senza voler culminare nell’esplosione di un orgasmo, per non mettere fine a quel piacere ancora più profondo. Soltanto in dirittura di arrivo, quando tutto attorno a noi diventò famigliare, decisi di voler ingoiare anche l’ultimo sorso di quel magico momento. Mi accovacciai davanti a lui e lo strinsi tra le labbra. Il solo contatto della sua punta sulla mia lingua, bastò a farlo trasalire.
Li chiamerebbero atti osceni in luogo pubblico. Io invece le definirei coccole di amanti in procinto di risvegliarsi da un sogno fugace. Mi alzai e mi diressi verso lo scompartimento accanto, senza salutarlo. Senza poterlo guardare. Non volevo vedesse quelle lacrime che sbandieravano impunemente i miei sentimenti. Il miglior saluto possibile, è quello in cui non ci si dice addio.

03 febbraio 2011

Tre è il numero perfetto !

Ho scoperto col tempo che essere una single che non vuol stare da sola, comporta un certo impegno. Si perché intendiamoci le mie non sono voglie, ma necessità.
I miei amichetti dopo un po’ mi dicono che sono uno strano tipo di donna. Una specie rara.
Una femmina che fa sesso come un uomo e lo vorrebbe fare pure con la stessa frequenza.
Piano con le definizioni ! Non chiamatemi ninfomane o avrò tutto il diritto di chiamare ognuno di voi maniaco.
Però per soddisfare i miei appetiti un uomo solo non basta. Aspettate, anche qui non arrivate subito alle conclusioni. Se avessi una specie di fidanzato o roba simle, me lo farei bastare. Anche se in passato frasi come : “non sono una macchina, ho bisogno dei miei tempi, ma non ti basta mai ?”  echeggiavano spesso in camera da letto, determinando l’istantanea fine della storia.
Così ho optato per una condizione di totale liberà. Ho già scritto che non rinuncerò mai a scopare dove mi viene voglia, quando voglio e con chi mi pare.
Però per farlo con la frequenza che desidero, ci vuole un gran lavoro di ricerca e selezione.
I periodi migliori sono quei magici momenti dell’anno in cui ne ho tre per le mani.
Ognuno di voi riesce a ritagliarsi almeno un paio d’ore la settimana, lontano da impegni di lavoro, famiglia, hobbies.  Se poi magari avete la fortuna di dover lavorare fuori casa, le due ore si trasformano in una notte intera.
E con tre uomini a disposizione, il risultato per me è di ottenere almeno un paio di ottimi momenti di divertimento la settimana. Mi sembra il minimo sindacale, no?
Purtroppo però ho dovuto notare che spesso i periodi in cui i miei amichetti sono più liberi, coincidano tra loro. E spesso quando si sormontano gli impegni, non si riesce a far sormontare nient’altro. Tranne rare occasioni in cui con grande abilità sono riuscita a farli incastrare…intendo gli appuntamenti, non gli uomini !
Come quella memorabile serata d’estate in pizzeria, con un gruppo di persone con le quali condivido una passione. Avete presente la classica pizza di fine corso ? Ecco, solo che nel gruppo c’erano un paio di uomini che avevo stuzzicato nelle settimane precedenti e che manco a dirlo mi avevano riservato un posto a tavola per potermi stare vicino. “Vieni qui, siediti tra noi due” e nel giro di pochi minuti, mi ritrovai al centro del più classico dei triangoli. Solo che due, dei tre protagonisti ne erano all’oscuro. La tovaglia arrivava fino a terra e per mia fortuna nascondeva tutto quello che avveniva là sotto.  Un intreccio di mani e piedi che faticavo a tenere separati. Per mia fortuna, uno di loro decise di alzarsi e dirigersi verso il bagno, facendomi l’occhiolino d’intesa per invitarmi a seguirlo. Come avrei potuto dirgli di no ? Dissi all’altro che dovevo fare una telefonata, mi allontanai e senza dare troppo nell’occhio raggiunsi la toilette. Non feci in tempo ad arrivare che una porta si aprì e il mio amico mi afferrò per un braccio spingendomi dentro. Chiuse a chiave e mi bloccò con le spalle alla porta. Mi mise una mano sulla bocca sorridendomi, sapendo che di solito mi si sente a distanza quando mi diverto ! Cercai di concentrarmi e di non emettere un fiato, anche se sapevo che sarebbe stato praticamente impossibile. Lui si inginocchiò davanti a me, mi alzò la gonna, spostandomi le mutandine e cominciò a torturarmi con la lingua. Era uno dei più bravi che avessi mai incontrato. Uno di quelli che sa come fare impazzire una donna. Sa dove fare più pressione e dove meno, quando leccare e quando succhiare. Insomma ero in visibilio. Non c’era nulla sul quale sedersi o appoggiarsi, quindi decise di afferrare i miei fianchi e alzarmi tenedomi appoggiata alla porta. Si sbottonò i jeans e me lo infilò. Fù la classica sveltina. Che se fatta in situazione di pericolo ha il suo perché, l’eccitazione dovuta al fatto di poter essere scoperti, porta la passione ai massimi livelli.
Decidemmo che lui sarebbe uscito per primo e avrebbe raggiunto il gruppo. Io avevo bisogno di un po’ di tempo per ricompormi. Appena uscito dal bagno, il mio cellulare suonò. Era l’altro ! “Dove sei finita ? E’ una telefonata lunga, eh ? Senti io mi sto annoiando e scoppio dalla voglia di te, ce ne andiamo ?” . Ti pareva ! Quando troppo e quando nulla. Gli dissi che non volevo che nessuno sapesse di noi due, era troppo presto. Quindi poteva aspettarmi sotto casa, sarei arrivata in venti minuti. Tornai al tavolo con un sorrisetto stampato in faccia. Una delle due sedie era vuota. Mi aveva preso in parola ed era corso in macchina. Così avevo tutto il tempo di salutare con calma il mio amico dall’abile lingua, senza sembrare troppo sgarbata. Me ne andai dicendo che dovevo raggiungere delle amiche in discoteca e nessuno si accorse di nulla. Arrivata a casa, trovai il mio amico sulla porta, gonfio di desiderio. Gli dissi che faceva troppo caldo e che volevo fare una doccia. Venne con me. Lavò via l’odore dell’altro senza neppure immaginarlo e mi cosparse del suo. Gran bella serata !