La parte più erotica del mio corpo è il CERVELLO. Senza, sarei soltanto un pezzo di carne sui tacchi.

I miei racconti

17 dicembre 2010

La chat

Mi sono iscritta per gioco.
Ne parlano tutti di queste chat dove ci si incontra.
Perché questa ? E’ gratuita e facile da usare.
Inizio a ricevere subito svariati messaggi di approccio.
Dai più smaliziati, ai banalissimi, passando per quelli pratici: “Cerchi sesso?” Insomma c’e' un po’ di tutto.
Anche un tipo decisamente sfigatello che mi tampina ogni volta che accedo al sito. Un tormento. Più lo ignoro, più insiste. Pressante, ma non oltraggioso. Poi un pomeriggio di calma piatta in ufficio e in chat, mi decido a dargli udienza. Accetto di chattare con lui.
Si va subito al sodo, si parla di fantasie. Raccontami la tua, che io ti dico la mia. Mi scrive che vorrebbe che una donna entrasse nel suo ufficio, mentre sta lavorando, si facesse bendare e si lasciasse toccare da lui. Solo toccare. Nient’altro. La cosa mi incuriosisce. Gli dico che ci sto. Lui crede che io stia scherzando.
Lo convinco che non è così, mi faccio dare l’indirizzo e gli dico che sarò da lui in trenta minuti. Esco dalla chat. Sono spavalda. L’ho preso in giro ! Che scemo, quello starà lì ad aspettarmi come un cretino pensando che io gli suonerò al citofono da un momento all’altro. I minuti passano e la mia concentrazione non torna.
La mia testa non ne vuole sapere di lavorare.
I  minuti passano e il mio respiro diventa sempre più affannato.
Il pensiero diventa, tormento. Perché no ? Perché non dovrei andare ? Non lo saprà mai nessuno. Nemmeno io saprò chi mi avrà posseduta. Non dovrò ricordare nulla. Non avrò nulla di cui vergognarmi, nemmeno allo specchio. Prendo la borsa, esco dall’ufficio “vado in banca”, dico e salgo in auto. Mi tremano le gambe. Sono una stupida. Una vigliacca. Ma là sotto tra le gambe un diavoletto mi ricorda quanta voglia abbia di farmi scopare. Arrivo al citofono, suono, una voce maschile mi chiede chi è, rispondo con la parola d’ordine concordata. “primo piano, porta a destra” Sento il portone aprirsi. Ad ogni gradino mi dico che devo tornare indietro subito o sarà troppo tardi. Proseguo. Arrivo alla porta, aspetto, terrorizzata ed eccitata. Lui apre, chiudo gli occhi, oltrepasso la soglia, sento la porta chiudersi dietro di me e una presenza. Un pezzo di stoffa  cala sui miei occhi, si stringe sul mio viso. Sento un ordine sussurrato all’orecchio: “ appoggia le mani sul muro davanti a te”
Obbedisco. “Allarga le gambe”. Prendo tempo. Allora sento una mano maschile alzami la gonna, spostarmi una gamba e infilarsi in mezzo. “Dio quanto sei bagnata”
E’ vero, sono scandalosamente eccitata. Il mio liquido caldo oltrepassa le mutandine.
Sento le sue mani insinuarsi sotto la biancheria, mi aprono le natiche. Mi passa le dita là in mezzo. Mentre l’altra mano va a bagnarsi alla fonte del mio piacere.
“Ho paura. Non mi farai a pezzetti come nei telefilm, vero?”
Mi sfila il tanga, solo quello, lasciandomi scarpe e gonna.
“Tranquilla non ti farò niente che tu non voglia. Mettiti sul divano” e mi guida verso qualcosa di morbido rivestito di stoffa.
Mi inginocchio sul divano, dandogli le spalle. Lui dietro di me, continua toccarmi, strusciarsi, eccitandosi sempre di più. La paura di non sapere chi mi tocca mi eccita.
Il mio sedere è lì esposto a lui, pronto ad essere posseduto. Mi piego in avanti, glielo offro.
“Hai un culo spettacolare, è ancora stretto, lo usi poco”
Sento il suo affanno, la sua voglia di insudiciarmi. E poi la sua lingua ruvida, passare lungo l’incavo delle natiche. Arriva sul mio buco, quello dietro. Ci sosta, a lungo.
Sento un dito farsi largo. Poi un altro. Mi piace. Ho voglia di essere sodomizzata da uno sconosciuto. Voglio sentirmi riempita là dietro. Voglio sentirmi sporca e deflorata.
Siamo in luglio, fa caldo. E lì in quell’ufficio, faceva ancora più caldo.
“Aspetta” mi dice. E sento che si allontana.
Quando torna, non mi sono mossa, sono rimasta sul divano, carponi, pronta ad essere posseduta.
“Hai  sete ?”  non riesco a parlare, deglutisco e faccio cenno di si.
“apri la bocca” sento qualcosa di freddo e duro appoggiarsi sulle mie labbra e dell’acqua scivolare nella bocca. E’ gelata. La sputo.
“Troppo fredda ? Adesso la scaldiamo”
Sento la stessa cosa infilarsi tra le gambe. Ho una bottiglia di vetro nella fica.
Dovrei sentirmi scandalizzata, invece…mi piace. La infila e la sfila, ripetutamente. Mi eccita.
La toglie e me la porta alla bocca. La lecco e bevo. Lecco e bevo me.
E mentre lo faccio, sento le sue dita entrare nel mio sedere.  Stavolta sono di più. Le lascia lì ferme. E io mi sento il sangue scivolare via dalla testa. Finalmente.
“anche il tuo culo ha bisogno di essere raffreddato”
Mi toglie la bottiglia di bocca e le dita da là, contemporaneamente.
Un attimo dopo sento il freddo, duro e liscio collo della bottiglia entrare in me.
Caccio un urlo. “Zitta o ti sentono negli uffici accanto” e la sua mano mi tappa la bocca.
Comincio a muovermi, la mia carne fa spazio a quella nuova cosa dura e fredda.
“ti piace eh?, dimmi che ti piace”
Non parlo. Ho la sua mano che mi preme sulla bocca.
Estrae la bottiglia e me la infila con forza, di nuovo. Urlo più forte.  “Ah, se ti piace”
La mia mano scende verso il clitoride, me lo massaggio, voglio godere. Lui me la toglie. “no, tesoro qui il piacere te lo do solo io” e sostituisce le mie dita alle sue.
Me le infila davanti, dove sono più bagnata e rovente. Le estrae, fradice. Toglie anche la bottiglia. “alzati” e mi guida, mettendosi dietro di me, le mani sui miei fianchi.
Avanzo con cautela, Urto con il bacino contro qualcosa. Mi fermo. Sento che è un tavolo.
“E’ la mia scrivania” dice, mentre con una mano, mi fa piegare in avanti la schiena.
Sono in piedi, sdraiata a novanta gradi.
Lui mi lecca il sedere. Sento la zip dei suoi pantaloni e il fruscio degli indumenti scendere. Mi infila un paio di dita frettolosamente, le intinge e le passa tra le natiche.
E’ il momento, lo so. Il mio respiro diventa affannoso. E questo lo eccita.
Sento qualcosa di caldo e morbido appoggiarsi dietro. Due dita umide entrano ed escono, un attimo di vuoto e poi…  Tutto in una volta. Dentro. Sento la mia carne aprirsi a fatica alla sua.
E una sensazione di calore, fuggire via.
Dalla bocca mi esce un urlo di piacere. “Si, qui puoi urlare quanto vuoi. Godi. E dimmi che ne vuoi ancora. “

13 dicembre 2010

La porta sul retro

Avevo sempre rifiutato a tutti quella porta. Fidanzati più o meno ufficiali, amanti per una notte, fedeli trombamici. Insomma a tutti gli uomini coi quali avevo fatto sesso, avevo detto no, là dietro non si va. Non è cosa per voi, divieto di accesso. Qualche tentativo a dire il vero era stato fatto. Più per gratificare quelli più seri, quelli con i quali mi ero presa una sorta di impegno. Insomma era quella la mia vera prova d’amore. “Tesoro, ti amo così tanto che accetto che tu me lo metta là dietro!” .
Perché intendiamoci e diciamocelo una volta per tutte. E’ di questo che si
parla. Non è per provare un piacere sconosciuto alle donne che non hanno provato quella pratica. Solleticandole magari con leggendari orgasmi nemmeno paragonabili a quelli raggiunti in altri tradizionali posti. Non si tratta di diventare donne più complete, né di raggiungere una vera intesa con il proprio partner. No, si tratta semplicemente di accettare di essere totalmente possedute da un uomo. Dopo il cuore (per i romantici), la testa e la vagina….volete anche l’ultimo posto che può essere di nostro esclusivo dominio. Quello ! E risparmiatemi i commenti a smentita di queste righe, la mia risposta sarà sempre: “se come dici tu mi piacerà così tanto, perché prima non lo provi ? In fondo la sodomia è stata inventata dagli uomini PER gli uomini.”  Ecco quindi spiegato perché c’ho messo parecchi anni prima di dirmi: va bene hai provato e sperimentato molto del sesso, forse è venuto il momento di passare all’esplorazione di quel mondo. Visti i drammatici risultati dei tentativi precedenti, ho deciso di documentarmi a fondo sull’argomento. E direi con altrettanti scarsi epiloghi. Quello che si trova sul web è esclusivamente il punto di vista maschile della cosa ed è pure falsato dalla visione pornografica del metodo. Insomma, non avevo nessuna voglia di venire brutalmente massacrata dal suo desiderio di replicare quanto fatto dal famoso attore porno, nella scena di quel film. Per fortuna in quel periodo frequentavo un amico in gamba, uno di quelli col quale si era instaurata una certa complicità. Ovviamente dalla seconda volta che c’eravamo scambiati i nostri reciproci liquidi corporei, aveva proposto di entrare da quel varco ottenendo la mia solita risposta, non se ne parla. Ma qualche volta dopo mi sono dimostrata più disponibile ad avvicinarmi all’idea, lasciando che cominciasse a giocare con quel lato di me. Non mi scostavo più, se nei nostri giochi la sua mano scivolava nel mio sedere. Lasciavo che qualche carezza diventasse più intima, fino a sentire qualcosa entrare nella mia carne proibita. Un suo dito, la sua lingua e poi di nuovo le sue dita che diventavano più d’una.
Avevo deciso che sarebbe stato lui il primo e gli avevo confessato i miei timori. Il dolore, prima di tutto, che per me è l’antitesi del piacere. E poi l’imbarazzo, insomma quello è un posto destinato ad altro e quell’ “altro” non è nulla di igienico, né di profumato.
Così le volte successive avevamo cominciato a coinvolgere nei nostri giochi, anche quella parte del mio corpo che lentamente si preparava a diventare un punto focale dei nostri futuri incontri. Mai in modo irruento e con grande pazienza, ascoltando il mio corpo, capendo quando era il caso di affondare e quando invece di ritirare, avevamo raggiunto un ottimo grado di fiducia e di dilatazione. Entrambi necessari a preparare una perfetta prima volta, basata sul senso di rilassamento di chi si offre all’altro. Cioè me ! Che dovevo essere sicura di potermi tirare indietro qualora qualcosa non funzionasse per il verso giusto. Perché dal momento che il contatto visivo è impossibilitato dalla posizione più consona, è proprio il caso di dire che ci si deve fidare ciecamente del proprio partner.
Fu così che un pomeriggio, il mio amico venne a prendere un caffè da me e dopo aver ripassato alcune delle più classiche posizioni, mi ritrovai in piedi piegata sul tavolo della cucina, con lui che là dietro si prendeva cura della mia porta sul retro. Baciandola, leccandola, facendo entrare le sue dita, prima davanti inumidendole di me, poi portando il mio nettare nel nuovo luogo di divertimento. Con quelle sue magiche dita aveva già fatto urlare di piacere clitoride e vagina ed ora mi stavano là dentro e le usava in un modo nuovo. Meno delicato del solito. Le faceva entrare ed uscire velocemente, facendole affondare ogni volta di più. E ad ogni colpo, una sensazione di calore maggiore, dal mio ventre scendeva verso le caviglie, attraversando le gambe. Era una scossa di adrenalina, che ritmicamente mi faceva sciogliere le ginocchia. Una nuova sensazione di abbandono, si stava formando nella mia testa, Desideravo che quella scarica di piacere diventasse più potente, tanto da stordirmi. Così gli presi il pene glielo strinsi e lo appoggiai sull’incavo del mio sedere e con entrambe le mani gli afferrai i fianchi, spingendoli verso di me. Lui si scostò, non era sicuro di aver capito cosa volessi. Me lo chiese: “sei sicura?”  Smettila di parlare e fallo, prima che cambi idea. Volevo sentire ancora quel diverso calore di piacere, scivolare via da me, strisciando lungo le cosce. Lui mi aprì bene la fessura, me lo puntò e io mi preparai a sentirlo dentro di me. Sentii della nuova carne aprirsi alla sua. Un senso di invasione mi pervase, ma subito dopo quella scarica tornò ed era eccitante. Lui rimase con solo la punta dentro di me, non fece altro. Cominciai io a muovermi, facendolo entrare ed uscire, un po’ alla volta. Lentamente. Dando tempo alla mia carne di adattarsi a lui. Finche non fu tutto dentro di me. Il calore quadruplicò e la scarica elettrica mi fece intorpidire i piedi. Cacciai un urlo. Piacere, misto a dolore, sollievo e sorpresa. Avevo fatto entrare un uomo in me da un posto nuovo e il piacere che sentivo non era il solito che ormai avevo imparato a conoscere e riconoscere. Era una sensazione diversa e andava verso il basso, portando con sé timori e negazioni. Potevo finalmente farmi possedere da un uomo, senza per questo sentirmi svilita o umiliata. Avevo comunque il controllo di me ed anzi potevo decidere di provare un nuovo tipo di piacere. Tre a uno per me! Clitorideo, vaginale ed ora anche anale.
Contro l'insignificante, maschile fugace spruzzetto.
Il resto come si dice, è storia !

09 dicembre 2010

Il maestro della tortura

Ho sempre avuto una passione per Hemingway.
Il classico uomo d’altri tempi, quello del quale hanno buttato lo stampo.
Quel cocciuto, maschilista, geniale uomo col quale avrei voluto cenare una sera d’estate di luna piena, in un bistro a Parigi.  Ci sarei finita a letto o gli avrei dato uno schiaffo ? Forse entrambi, ma non in quest’ordine.
Poi un giorno decido di accettare un invito, prendo il  treno e torno a Milano. E’ Natale, fa freddo, piove. Ma alla stazione è venuto a prendermi lui, Ernest. La sua quintessenza o forse la sua reincarnazione. Passo deciso, sguardo di chi del mondo e delle donne ha visto molto e forse tutto. Mi sembra di avere una parte da recitare di un copione già scritto, lui dirige. Il percorso, le destinazioni, gli argomenti. La sicurezza sconfina nella spocchia. Ma per ora va bene. Con tutta la mancanza di decisione e di intrapprendenza maschile patita in queste ultime settimane, mi ci vuole una dose del buon vecchio machismo.  Vediamo quanto sa essere maschio lui e saprò ricompensarlo con tutta la femmina che sono.
Quattro passi dividendo l’ombrello, sotto le luci natalizie. Il pranzo veloce in un posto qualunque. Sono imbacuccata di lana e indosso indumenti per nulla sexy. Non mi ci sento. Non posso esserlo nei cinque gradi di quest’aria invernale. Lui ha già fatto le sue mosse, vecchio stile. Elegante, deciso, mai volgare. Le ho tutte respinte al mittente e la tensione sta per evaporare, raffreddata in un freddo e piovoso pomeriggio che sta andando a concludersi in un nulla di fatto. Un passo dopo l’altro ci stiamo avvicinando alla certezza di un momento erotico svanito e certamente rimpianto nei giorni successivi. Un profumo intenso solletica il mio naso, mi ha seguita dalla stazione. Si mischia ad altri odori, svanisce e poi torna a cercarmi. Mi invade, solleticando il naso, si intrufola in me, facendo ribollire prima il sangue poi il mio nettare. Non gli avevo dato importanza, prima di essermi trovata un gradino sopra al suo collo sulle scale ed aver capito che quello è il suo odore. Mi aveva già conquistata, prima ancora di parlare. E né io né lui lo sapevamo. La nostra pelle, si. Ora volevo toccare la sua, sentirne la grana sotto le dita. Sarà calda, ruvida o liscia. Sarà velluto o lino. Troppa gente ci cammina intorno, mentre la mia voglia ribolle. I pensieri diventano univoci. E quell’odore mi fa sgorgare l’eccitazione tra le gambe. Un cancello si apre e un androne si offre a noi. Decido che lì lo asseggerò. Lui ridere della mia necessità divenuta impellente. Non vuole cedere le redini di questo gioco, si concede appena. Mi lascia intrufolare una mano tra le sue gambe, solo per farmi capire che questo non è bastato a farlo eccitare. Deride il mio esame di riparazione fallito, lasciandomi arrogantemente offesa dal suo rifiuto. Solo così, spoglia della veste di seduttrice, decide di tornare da me. Mi guarda, prende la mia mano, la guida tra le mie cosce, intinge le nostre dita in me e se le porta alla lingua. Poi mi bacia, facendo mischiare i nostri sapori. “Così è come se avessimo scopato, per oggi può bastare”. Resto lì immobile e sfinita: iniziata dal maestro, alla tortura dell’attesa.

06 dicembre 2010

Il fioraio

Dopo mesi di tira e molla ho accettato la sua proposta. Mi stava chiedendo di uscire da troppo tempo e troppo insistentemente. Era stato paziente e premuroso, ma sentivo che stava per abbandonare il gioco. Un uomo non si può lasciare per troppo tempo senza l’illusione della preda.
Avevo deciso di invitarlo da me, cucinare per lui e di concedergli anche quello a cui più aspirava. Il mio personalissimo dolce, fatto di nettare e carne di donna.
Sistemata la casa, passo a preparare me. Doccia, una veloce passata di rasoio ovunque, giusto per togliere qualche traccia di ricrescita e rendermi più liscia ed appetitosa. Crema per vellutare e idratare la pelle. Smalto per abbellire i miei piedini di fata. Piastra nei capelli, profumo nel collo, rossetto alle labbra. Pronta. Accendo il forno, controllo che le vaschette della rosticceria siano di alluminio e non di plastica e do un’ultima occhiata in giro. Fiori ! Mancano dei fiori in questa stanza. Magari li porterà lui. Si, come no ? Da quando gli uomini sono tornati ad essere romantici ? Porterà del vino, pensando di dovermi ubriacare per riuscire a portarmi a letto ! E io invece, ho bisogno di fiori. Ho voglia di essere inebriata dal profumo dei lilium mentre lo sedurrò. Che ore sono ? Dicianove e quindici, a lui ho detto per le venti, ce la posso fare. Il fioraio è qui vicino. Salgo in auto, in due minuti sono davanti al negozio. Le luci si sono appena spente e la serranda sta scendendo. Mi catapulto fuori dallo sportello, corro all’entrata cercando di non slogarmi una caviglia, con quei tacchi.
Ormai giusto quelli si possono vedere dall’interno del negozio. Ma funzionano ! La serranda si ferma e torna su. Vedo il mio fioraio sbirciare da sotto. Mi sorride e apre la porta. “Sapevo che eri tu ! Con quelle scarpe e a quest’ora, chi altro poteva essere ?” Mi imbrioncio, come una scolaretta ripresa dal bidello. Poi lo guardo e sbattendo le ciglia gli chiedo se mi può dare qualche lilium. Mi risponde indispettito che non ne ha più. Non a quest’ora e non per me. Perché non per me ? “Perché tu vieni qui sfoggiando i vestiti più corti e le scarpe più alte, mi racconti le tue avventure senza tralasciare i dettagli dei dopo cena, mi lanci occhiate da gatta e poi con i fiori in mano te ne vai. Lasciandomi qui a pensare a cosa ne farai di quei fiori e di quei vestiti. Non hai mai pensato che sono un uomo anch’io?”. Però che coraggio, per un mocciosetto di vent’anni. E’ arrossito vistosamente, mentre me lo diceva. Ma la voce l’ha mantenuta ferma. Non un’esitazione. Ok, uomo ! E cosa vorresti da me, che sono una donna ? Lo interrogo come una sfinge, con aria da sfida a poker. Vediamo se ha il coraggio di venire a vedere che carte ho. “Vorrei vedere cosa indossi sotto a quei vestiti” L’audacia dei ragazzini appena cresciuti, con nulla da perdere e molto da guadagnare. Ci penso un attimo, sorrido impettita. Alzo un sopraciglio, appoggio la borsa accanto alla cassa e sbottono il cappotto. Tre bottoni, uno ad uno, lentamente. Lui deglutisce, ma resta fermo. Lo lascio cadere a terra. Sotto è rimasto un vestitino nero in maglia e le autoreggenti nere, con la riga dietro. Tocca a te, gli dico. Vediamo se ha il coraggio. Fa un passo avanti, io uno indietro. Le mie spalle trovano il bancone. Mi devo fermare. Lui esita. Io rido, sonoramente. Sapevo che non ne avevi le palle, ragazzino. Rilancio, accovacciandomi davanti a lui, per raccogliere il cappotto. Scendo con il viso rivolto a lui, lungo tutto il suo corpo e nel farlo, faccio strusciare il mio seno sul suo fianco. Qualcosa si agita tra le sue cosce. Il serpentello ha preso vita ! Non posso trattenere un sorrisetto compiaciuto. Ho vinto anche stavolta. Afferro la borsa. Gli volto le spalle e mi dirigo verso la porta. Sento dei passi dietro a me, si sta allontanado. Poveretto. Deve vergognarsi come un bambino umiliato alla lavagna dalla maestra per la quale aveva una cotta. Poso la mano sulla maniglia, ma vengo bloccata da un rumore. E’ la serranda. Si sta abbassando ! Mi giro, indignata ! Che succede ? Mi vuoi fare i dispetti e lasciarmi qui al buio ? Cresci, moccioso. E fammi uscire. “No, tu da qui non te ne vai finchè non mi avrai fatto sentire come un uomo dopo aver scopato una donna come te” Mi si secca la gola. Resto di pietra. Provo solo a dire, mi aspettano a casa. “Tu a casa non ci torni tanto presto, fidati. Vieni qui e torna a strusciarti. Ricominciamo da lì.” Soltanto dopo un paio d’ore trascorse tra il profumo dei fiori che si mischiavano agli odori dei nostri corpi, è stato sazio di me. Dopo avermi conosciuta, perlustrata e penetrata in ogni luogo, con ogni sua parte, a lungo e con la virilità che appartiene solo ad un giovane affamato.

Quel poveretto fuori da casa mia, invece è rimasto a pancia vuota e bocca asciutta ancora per molto, molto tempo !

01 dicembre 2010

La Convention

Stasera non ho voglia di andare a quella convention.
Ci saranno le solite facce. Uomini attempati e grassi, accompagnati da mogli imbellettate con pellicce che puzzano di naftalina.
Facce tirate dal botulino e dalla circostanza e me che di quel mondo non faccio parte. E’ il mio lavoro, presiedere e sorridere, ascoltando distrattamente discorsi inutilmente pomposi. Direi che è la parte più noiosa.
Solito abitino nero, mai scollato. Mai eccessivamente corto. Insomma nulla di appariscente e che possa attirare gli sguardi acidi e invidiosi delle mogli dei pezzi grossi, che non vanno distratti. Ma mantenuti nel torpore dell’opulenza.
Stasera però mi va di indossare qualcosa di sexy. E’ tempo che porti a spasso quelle scarpe, acquistate nel negozio di vestiario hard. Parigine, bianche e nere, in vernice. Tacco dodici, stringhe in raso nero. Uno schianto ! Arrivo in ritardo, opportunamente. Sfilo lungo tutto il corridoio centrale, sedie occupate a destra e a sinistra. Solo la prima fila libera, come a scuola. Prendo posto, mi guardo intorno. Ho attirato la giusta attenzione. Lancio un’occhiata a chi mi sta di fronte. Un ometto buffo e grigio è il relatore e si riempie la bocca di frasi ad effetto, sicuramente non sue. Ci propina il solito piatto forte del menù: aria fritta. Due discepoli, gli siedono accanto. Anche per stasera nulla di interessante. Chi ci sperava ? Poi dalla porta laterale entrano due occhi che mi si incollano addosso. Non mi lasciano il tempo di distogliere lo sguardo. Mi squadrano, prendono le misure. Io ricambio. Nella mia mente si insinua un pensiero: “chissà come ci starà dentro di me” . Lui lo legge, ne sono sicura. Deve essere passato in sovraimpressione nel mio decoltè, perché da lì non si smuovono i suoi occhi.
Si siete due sedie più in là. Prende il telefono, finge di metterlo in silenzioso e scatta una foto alle scarpe. Gli sorrido. Scavallo le gambe, lentamente. Gli faccio ascoltare il fruscio delle mie calze, lo voglio ipnotizzare come farebbe un serpente a sonagli. Senti le mie gambe ? Che si aprono e si chiudono? Ascoltale. Bramale. Prendile. E infilaci dentro quello che vuoi.
L’interminabile serie di banalità finisce, dopo qualche decina di minuti. Passati a lanciarci occhiate di intesa. Tutti a cena. La mandria affamata esce dalla sala. Io rientro, a luci ormai spente, per prendere la sciarpa appositamente dimenticata. Lo trovo lì seduto al buio, che mi aspetta. “Sapevo che saresti tornata “ , come facevi a saperlo ? “quelle scarpe non sono per donne qualunque” , sorrido, ha ragione.  Mi inginocchio davanti a lui, glielo tiro fuori. E lo assaggio. Lui si lascia fare, ma non per molto. “Tesoro, rallenta o il gioco sarò troppo breve per far felici entrambi” Ho voglia di lui. Di essere penetrata e subito. Mi alzo, accorcio il tubino e mi siedo sopra di lui. Crede che io sia il suo giocattolo, ma non sa che lui è il mio. Si intravedono le autoreggenti. La mia mano lo cerca, lo trova, scosta la brasiliana e lo infila nel posto giusto. Ora è dentro di me. Al caldo e nel mio umido. Comincio a farlo scivolare, dentro e fuori. Lentamente, profondamente. Ho il controllo, dirigo io i giochi. Lui deve solo partecipare. “Hey, la fai fare qualcosina anche a me?” Gli metto una mano sulla bocca. Resto in silenzio. No, non hai capito. Io sto montando te, non il contrario. Tu sei lo stallone e io la cavallerizza. Continuo a muovermi, alla ricerca del mio piacere, incurante del suo. Spero soltanto che resista qualche altro minuto ancora. Il mio bacino rotea, struscia, si alza e si abbassa, fino a che…il mio calore divampa. L’orgasmo è arrivato. Lui sta per scoppiare, lo vedo dalla faccia. Non ne può più di trattenersi. Mi alzo, mi tolgo e lui resta lì, stupito. “Che fai, torna giù, o almeno prendimelo in bocca”. Sono già a due passi da lui, in direzione della porta. Mi volto e gli dico: “Spiacente, ho fretta. I cinquanta euro te li lascio qui fuori. E’ stato bello. Alla prossima” 
Che soddisfazione scoparsi un uomo e lasciarlo lì con i pantaloni calati!