La parte più erotica del mio corpo è il CERVELLO. Senza, sarei soltanto un pezzo di carne sui tacchi.

I miei racconti

10 febbraio 2011

Il treno dei desideri (all'incontrario va)

Una notte di passione, lontano da tutto e tutti. Ce l’eravamo concessa a fatica.
Perché il nostro tempo doveva essere ritagliato e vissuto in clandestinità.
Nella consapevolezza che quel momento era destinato ad essere unico, non avevamo sprecato una goccia di quella dissetante acqua sorgiva, trovata in un’oasi a seicento chilometri da casa. Una notte indimenticabile e indimenticata. Il mattino dopo ci svegliammo, ci vestimmo e andammo verso la stazione, cercando di non manifestare troppo la tristezza che ci pervadeva l’anima. Avevamo altre sei ore per stare assieme, ma non più nell’intimità di una camera da letto, bensì in un affollato treno gremito di pendolari. I nostri corpi che si erano fusi fino a qualche ora prima, non riuscivano ad accettare questa nuova condizione di separazione, cercandosi furtivamente ad ogni occasione. Una mano mi sfiorava gentile, una gamba restava cocciutamente appoggiata alla sua. Il contatto fisico restò pressoché inalterato durante quasi tutto il tragitto, accrescendo la frustrazione del non poter più tornare ad essere di nuovo un corpo solo. Lui non è mai stato un uomo di molte parole, ma di azione. Il lavoro che aveva scelto di fare, rispecchiava la sua indole. Uno come lui lo si chiama durante le emergenze, quando si è in pericolo. E non ci si aspettano grandi discorsi, ma gesti e rapide valutazioni in grado di salvarti la vita. Ecco perché scesi dal primo treno per salire sul secondo, non dissi nulla quando mi fece segno di seguirlo fino all’ultima carrozza, che una volta partiti diventò la prima. Quella occupata per metà dal macchinista. Scelse di farmi sedere nella prima fila, una parete di lamiera davanti e pochi sedili vuoti dietro. Eravamo di nuovo soli nell’incombenza di toccarci. Lentamente il treno lasciò la stazione, per immergersi in un’anonima sequenza di case e alberi fruscianti. Lo guardai seduto accanto a me, ci baciammo con la stessa intensità di sempre. I nostri non erano semplici baci, ma vere e proprie dichiarazioni di passione eterna e reciproca. Non riuscii a trattenermi e mi sedetti sopra di lui. La mia pelle aveva sete della sua. Volevo che mi toccasse, mi possedesse, mi penetrasse ancora. Non potevo immaginare di sentire la nostalgia di lui, in posti in cui non era biologicamente possibile provare emozioni. E la frustrazione per non poterlo fare, accresceva la voglia, che divampava facendomi prendere decisioni azzardate. Gli sorrisi, lui mi guardò come si guarda una bimba che non si riesce a sgridare. Gli sbottonai i jeans e lo accarezzai. Sentii di nuovo la sua voglia pulsare tra le mie mani, desiderando di sentirla altrove. Alzai la svolazzante gonna estiva, dispiegandola sopra di lui. Ora potevo sentirlo vibrare tra le mie cosce. Me lo feci strusciare un po’ addosso, desiderando di farmi pervadere dal suo odore. La mia mano scivolò furtivamente sotto la gonna, spostando l’intimo e facendo strada alla sua carne nuda che trovò la mia, incandescente e bagnata, pronta ad accoglierlo di nuovo. Restai così inerte, per qualche secondo. Per poi iniziare a dondolarmi, strusciarmi e muovermi lentamente. Tutto attorno a noi stava scorrendo, il paesaggio sui finestrini, lo scompartimento sulle rotaie e lui dentro me. In estasi per la ritrovata unione dei nostri corpi, non ci accorgemmo della comparsa di un uomo in divisa blu. Non so se per miopia o abitudine, non fece caso a noi e gli fummo grati di non aver interrotto la nostra danza. Restammo accoccolati a lungo, l’uno dentro l’altro quasi immobili, in quell’abbraccio totale, senza voler culminare nell’esplosione di un orgasmo, per non mettere fine a quel piacere ancora più profondo. Soltanto in dirittura di arrivo, quando tutto attorno a noi diventò famigliare, decisi di voler ingoiare anche l’ultimo sorso di quel magico momento. Mi accovacciai davanti a lui e lo strinsi tra le labbra. Il solo contatto della sua punta sulla mia lingua, bastò a farlo trasalire.
Li chiamerebbero atti osceni in luogo pubblico. Io invece le definirei coccole di amanti in procinto di risvegliarsi da un sogno fugace. Mi alzai e mi diressi verso lo scompartimento accanto, senza salutarlo. Senza poterlo guardare. Non volevo vedesse quelle lacrime che sbandieravano impunemente i miei sentimenti. Il miglior saluto possibile, è quello in cui non ci si dice addio.

5 commenti:

  1. Tenero... oltre che eccitante. Ho sentito il "trasporto" delle due anime. Un piccolo fotoromanzo erotico. Bello!
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  2. ...dedicato a chi dice che io non abbia sentimenti...

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  3. ....evidentemente, ti conosce meno di quel che crede
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  4. Che tu abbia sentimenti (fin troppi) lo vede chiunque abbia gli occhi. E voglia usarli.

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  5. PS dimenticavo: non ho potuto eccitarmi, perché è talmente intimo e autentico che mi sarebbe sembrato di mettermi in mezzo dove non ne avevo il diritto

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