La parte più erotica del mio corpo è il CERVELLO. Senza, sarei soltanto un pezzo di carne sui tacchi.

I miei racconti

05 maggio 2011

Maschile sensazione di piacere

Apro gli occhi. La vista è annebbiata. Li chiudo. Buio. Li riapro. Buio. Qualche attimo e tutto torna a fuoco. Sono nuda, sul pavimento di casa mia. Che ci faccio qui ? Uno strano formicolio nel ventre, i piedi intorpiditi, le cosce fradice. Sei di fronte a me, sdraiato a terra. “Bentornata. Mi stavi preoccupando.” Ti conosco, so chi sei. Ti guardo perplessa. Cercando di ricordare. So che stavamo facendo sesso. Mi sono spogliata, mentre eravamo sul divano. Ti ho stuzzicato strusciando la mia carne nuda sui tuoi vestiti, lasciando tracce del mio desiderio sui tuoi jeans. Ti sei alzato, tenendomi in braccio e mi hai fatta sdraiare a terra. Mi hai detto che mi avresti portata in paradiso. Sono scoppiata a ridere. Quanti uomini prima di te, me l’hanno promesso ? Non potevo immaginare che oltre il confine del piacere conosciuto ed esplorato, ci fosse una soglia che porta alla perdizione dei sensi, dei pudori e dei tabù ancestrali. E’ dentro al ventre di una donna che viene custodito il segreto che rende i sessi più vicini e confusi. Mi accarezzi, schiudi le mie gambe ed entri in me. Le tue dita mi conoscono. Conoscono la mia carne. La ascoltano. Infuocarsi, sussurrare, contorcersi. Ti chiede, si offre, ti prega di non smettere. Tu continui la ricerca. Mi guardi, con gli occhi di chi sa di avere un potere nelle sue mani. Infili, rotei, ti fermi e mi guardi. Aspetti che la maestria dei tuoi gesti, compia il miracolo di trasformare il mio sguardo da fiero, a implorante. Attendi che la mia carne ti indichi la via. Che i miei liquidi bollenti, rendano le tue carezze vellutate e morbide. Inarco la schiena, dirigendo lo strumento verso la meta altre volte esplorata. Un altro monte di venere spugnoso, interno a me, ti attende e si tende gonfio di desiderio. Lo sfiori, facendomi spalancare occhi e  gambe. Ti fisso, assaporando il piacere correre tra le mie vene. Sorridi compiaciuto. Hai domato la puledra scalciante. Ora è pronta per il trotto. Non mi concedi il tempo di ritrovare il mio sguardo orgoglioso. Mi vuoi soggiogare inebriandomi con il piacere carnale che dici di sapermi donare. Mi affido alle tue mani. Conducimi nei luoghi della perdizione promessi. Mi rilasso e ascolto il mio corpo vibrare dopo ogni tua carezza. Non riesco a capire dove sei e cosa stai sfiorando. Non conosco i meandri della carne che stai solleticando. Ma so che mi piace. So che mi fanno ribollire qualcosa di ancestrale. Di talmente profondo da non riuscire ad afferrarne la provenienza. Mi fermano la mente, facendomi dimenticare di avere un organo destinato al controllo del mio corpo. Hai spento il mio maledetto cervello. Ora sono solo impulso. Un corpo che freme, che vive, che muore tra le tue mani. Quello che riesci a toccare di me, laggiù in fondo, mi uccide. Mi toglie il fiato. Fa uscire un sospiro gutturale e sordo dalle mie corde. Un ultimo fiato. Il ventre si contorce. Ogni contorsione mi riporta alla vita. Per poi togliermela di nuovo. Fino a desiderare di strizzare la mia carne e lasciare uscire il succo della vita. Uno zampillio caldo e viscoso esce irruentemente da me. Non è lava colante di umori, non è fluente liquido dorato. E’ uno schizzo di vita che mi rende simile ad un uomo. Seme che esce da me, invece di entrare. Questa nuova sensazione mi confonde, mi fa vergognare, mi preoccupa. Ti guardo dubbiosa. Mi rispondi fermo, intenzionato a continuare. Cerco la tua mano, stringo il polso, per toglierla da me. Per rinunciare a quel momento e riportarmi alla mia natura di donna. La materia grigia è tornata a comandare. Non le lasci scampo. Una sola lieve carezza di un tuo dito e sono di nuovo in bambola. Mi concedo, ancora. Fammi tornare ad essere quel che non sono, un uomo. Mi sposti la mano. Vuoi che mi tocchi. Vuoi rendermi partecipe della metamorfosi. Non riesco a contrastare la tua volontà. La tua mano dentro, la mia fuori. Le mie dita cercano di contenere un clitoride sfacciatamente esposto. Lo titillano lievemente. Di più non potrei sopportare. Sento un dito tornare a solleticarmi. Torno a contorcermi di piacere umido e conosciuto. Non ho la minima idea di dove siano le altre e cosa di me stiano accarezzando. Sento solo una forte e calda contrazione arrivare da dentro, farmi desiderare di espellere qualcosa. Divento carne strizzata e pulsante, che fa schizzare altro seme. Vibrazioni di piacere immenso si impadroniscono di me. Del mio pube, del mio ventre, della mente e del corpo. Corto circuito di emozioni. La nuova, maschile sensazione di piacere, mi fa liquefare tra i miei umori. Mi spengo. Esausta.

13 aprile 2011

Faccio da sola


Quando mi tocco, lo faccio da sola.
Al termine di una giornata pesante, allegra, noiosa o appagante. Insomma, lo faccio spesso e senza un reale motivo, solo per darmi piacere. C’è bisogno di una scusa per concedersi altri vizi ? Non mi pare. Bacco non mi interessa, Tabacco neppure, lasciatemi Venere ci divertiremo assieme.  Mi piace sentire la mia pelle. E’ fatta di grana sottile, scorre morbida e polposa sotto le dita. Accarezzo la pancia, lentamente. Scendo lungo le gambe. Arrivo alle ginocchia e poi viro verso le coscie. Ne scelgo una, la destra. Ne comincio la tortura.
La sfioro, la solletico. Si increspa di piacere. Un brivido scorre dalla nuca al tallone.
Mi preparo a  godere del piacere che solo le mie mani mi sanno dare. Indugio, mi piace l’attesa. Chiudo gli occhi e ascolto il mio corpo. Il calore comincia a divampare. La lava comincia  a sgorgare. Un dito passa sotto alle mudandine,  ne solleva il bordo, si intrufola.  Esploro il mio pube, i polpastrelli ne perlustrano ogni centimetro, scovo i più sottili peli sfuggiti all’estitetista. Ci giocherello, pregustando il sadico piacere che mi darà strapparli dopo. L’indice si dirige verso il centro, si bagna di me, ritorna su. Cerca il bottoncino, lo solletica, lo abbandona. L’altra mano afferra l’elastico in alto, vorrebbe strapparlo. Mi concentro. Non devo concerdermi il massimo piacere. Non subito. Non sarebbe intenso come vorrei. Torno a sentire il velluto della mia pelle sotto alle dita. Mi allontano, ritorno. Mi regalo un’altalena di piacere. Ogni volta che la mia mano ritorna verso il fulcro di me, affonda le dita tra le gambe. Cercando di soprendermi e di perdere il controllo, con l’altra mano mi accarezzo l’interno della coscia. La pelle più sottile e levigata di me, la accoglie. Le gambe si chiudono. La costringono a rimanere e continuare a dare piacere. La schiena si innarca, offrendomi il pube. La testa non pensa più. È il corpo che parla. Pulsa. Vuole. E’ il momento di concedermi a me stessa. Torna in gioco l’indice, che raggiunge sicuro il bottoncino affamato. Ne delinea il contorno, formando dei piccoli cerchietti appena accennati. Aspetta che il sangue arrivi a gonfiarlo, come il vento fa con le vele. Il confine del piacere si allarga impercettibilmente, ogni attimo. La carne si inturgidisce, prende forma. Si erige. Pronta ad accettare carezze più decise. Sento il piacere sgorgare da là sotto. E mi piace. Chiudo gli occhi. Nessuna immagine maschile si intrufola nelle mie fantasie. Solo il pensiero del mio corpo che vibra sotto il mio stesso volere. Me ne compiaccio. Il dito medio raggiunge l’indice ed assieme continuano a sfregare circolarmente la mia carne, che diventa famelica e ansimante. Il ritmo accellera, all’unisono con il battito del cuore. I piedi faticano a stare fermi. Le dita si allargano. Il respiro diventa rauco. La mano libera cerca qualcosa da stringere. Afferra il bordo del letto, della scrivania o della sedia. Ci pianta le unghie ancorando la mente a qualcosa di solito per evitarne la fuga, in lidi di follia e estasi. Mi lascio pervadere da un piacere edonistico. Sto facendo l’amore con la persona che più conta al mondo. Me.

06 aprile 2011

Un paio di scarpe comode

"Un paio di scarpe comode, al resto ci penso io" questa e' l'unica risposta che mi ha dato, quando gli ho chiesto cosa dovevo portare. Mi ha torturata per una settimana, affamando la mia curiosità di femmina. Alimentandola di tanto in tanto, con piccoli indizi e smentite. Crudele a parole, quanto a letto. Non mi vuole concedere il massimo piacere, lasciando insoddisfatta la mia golosa impazienza.  "Insomma! Dove mi porti per il mio compleanno?". Ma non sono riuscita a carpirgli nessuna informazione. Solo sorrisetti compiaciuti di chi sa che quanto sta architettando sarà di suo sicuro godimento e spero anche del mio. L'aria primaverile, stempra l'insolita temperatura estiva. Decido per un look a strati. Vestitino corto turchese, spolverino lungo nero, scarpe abbinate aperte davanti, con l'immancabile tacco 12. Con lui posso permettermelo. Finalmente un uomo come piace a me. Un armadio a sei ante. Alto, robusto e stazzato. Con uno così accanto, a nessuno verrebbe mai in mente di darmi noia, quindi posso permettermi di esagerare.  Salgo in auto, mi squadra e mi rimprovera, dicendomi che avrò sicuramente freddo, vestita cosi poco. "E le scarpe? Mi sa che odierai quei tacchi a fine serata". La cosa mi intriga ulteriormente, non riesco ad immaginare cosa gli passi per la mente. Vuole farmi marciare? Pensa di farmi camminare a lungo? Basterebbe parcheggiare vicino al ristorante, no? Le chiacchiere mi distraggono e non mi danno il tempo di guardare dove stiamo andando. Solo ormai giunti a destinazione, mi accorgo della laguna attorno a noi. Venezia. Il mio sguardo cade sulle scarpe. In effetti il tacco alto non e' stata una grande idea, ma il guaio e' che non ne ho davvero altre nell’armadio. Per me le scarpe da donna, in quanto tali, devono avere un tacco alto. Altrimenti si passa a quelle da ginnastica.  Passeggiamo lungo le calle della città più romantica al mondo. Senza che mi abbia sfiorata. Nemmeno un bacio di saluto o un'occhiata languida lungo la scollatura. Nulla. Comincio a pensare di essere invisibile. Eppure la gente intorno a noi, mi spoglia con gli occhi. Entriamo nel ristorantino e una tavolata di occhi famelici mi sbrana. Lui sceglie il tavolo accanto e mi fa sedere di fronte a loro. Vuole che mi guardino e che io guardi loro. Tanto più e' invitante un piatto, quanto più ne e' orgoglioso il cuoco. E sarà lui il solo commensale di quel tavolo imbandito, almeno lo spero. Durante la cena, la mia gamba struscia sulla sua, lui la sposta delicatamente. La mia mano si intrufola sotto la tovaglia, strisciando come un serpentello indisponente, verso la sua tana. La ferma, agguantandola e stringendola come una tenaglia. "Ahaia, mi fai male con quelle mani enormi". Mi sorride, molla la presa. Deciso e risoluto, vuole tenermi in castigo. Mi e' vietato l'accesso al luna park. Ma non ne capisco il motivo. Gli sguardi di una decina di uomini mi stanno strappando i vestiti di dosso e lui non mi guarda neppure? Dice alla cameriera di incartare il dolce, lo mangeremo dopo. La cosa mi sembra sempre più eccitante. Usciamo, camminiamo. A lungo. Vicini ma mai troppo. Comincio a pensare che voglia sfiancare il mio spirito ribelle e i miei poveri piedini. Lo seguo, passeggiandogli accanto. Appena mi avvicino troppo lui si ferma, mi guarda, avvicina il viso al mio, aspetta che io schiuda le labbra, si sposta verso il mio orecchio e mi sussurra: “Non ancora”. E’ la terza volta che lo fa. Mi sto spazientendo. Ma insomma. Comincio ad essere stanca e infreddolita. Bella la laguna di notte, ma ora voglio tornare a casa. Tanto stasera non si combina nulla, ho già capito. Mentre penso tutto questo, imbocchiamo un vicolo chiuso. Un palazzo disabitato davanti a noi. Mette una mano in tasca, prende un mazzo di chiavi e apre il portone. “Vieni, adesso inizia il bello”. Ecco! C’è riuscito di nuovo, sono in balia della mia stupida curiosità. E’ il mio peggior difetto e il mio miglior pregio. Per merito suo ho vissuto momenti indimentibabili di vita, per colpa sua mi sono cacciata in un sacco di guai. E forse questo ne sarà l’ennesimo esempio. Entro e scopro che nel palazzo stanno ultimando un restauro magistrale. Antico fuori, modernissimo dentro. Mi piace curiosare nei cantieri. Immaginare come saranno vissuti gli spazi, una volta terminati. Lui è sparito dietro ad un cavedio, lasciandomi al centro di un atrio buio. D’un tratto, una luce accecante mi illumina dall’alto. Alzo gli occhi e vedo un enorme lampadario bianco di Murano sopra la testa. Resto imbambolata a guardarlo, finchè una mano afferra la mia, tirandomi. Inciampo sui miei piedi. Lui mi afferra, con la stessa facilità con la quale si agguanta un cuscino mentre sta cadendo. Mi piace sentirmi piccola, tra le braccia di un uomo dalla corporatura imponente. “Togliti le scarpe. Non dobbiamo fare rumore. Non dovremmo essere qui”. I suoi occhi sono sempre sorridenti, la voce sempre risoluta. E’ un contrasto che mi spiazza. Non so mai se finga di essere dolce o se invece faccia finta di essere un duro. Il mio infallibile istinto tace. Lasciandomi in balia degli eventi. “Ecco, adesso togliti anche i vestiti, fammi vedere cos’hai preparato per me, là sotto”. Che devo fare ? Ribellarmi o cedere ? Come a poker, decido di vedere cos’ha in mano, se sta bluffando giuro che lo strozzo. Saliamo quattro piani di scale. Lui mi fa strada, io lo seguo seminuda, stranamente docile. Entriamo in quello che sarà l’attico. Mi dice di dargli un minuto. Sparisce di nuovo nel buio. I miei occhi si sono abituati all’oscurità e frugano in giro, cercando indizi. Vedono soltanto spazi vuoti, finemente disegnati. Immaginano come saranno, una volta arredati. “Segui la mia voce e attenta a dove metti i piedi”. Arrivo in un terrazzo enorme. Candele tremolanti, delineano i bordi di una piscina d’acqua calda fumante. Venezia dall’alto e le stelle sopra di noi. Lui mi aspetta dentro. “Mi hai detto che non l’hai mai fatto in acqua e che ti piace farlo all’aperto. Eccoti accontentata. Buon Compleanno.” Resto ammutolita. Sfilo l’intimo, scivolo nella vasca, mi lascio abbracciare dall’acqua e da lui. Finalmente mi bacia. Lento e avvolgente. Mi spinge verso il bordo della vasca, apro le braccia, appoggio le mani e la testa, mi lascio galleggiare. Lui mi allarga le gambe, intrufolandoci il viso. Afferrra il mio sedere, tenendolo sollevato dall’acqua e comincia a torturarmi con la lingua. La sensazione dell’acqua calda, che mi accarezza tutta la pelle e della sua bocca sulle mie labbra laggiù, mi manda in estasi. Apro gli occhi per gustarmi anche le stelle. Sento le sue dita entrare e il desiderio di essere riempita della sua carne mi fa rabbrividire. Glielo confesso. Lui risponde con la solita, odiosissima frase: “Non ancora”. Vorrei avere le mie scarpe, per battere i piedi e dimostrargli il mio disappunto. Voglio il mio dolce e lo voglio ora. Lui ride. “Sei abituata ad ottenere tutto quello che vuoi e quando lo vuoi tu ?”. Il mio ego riceve una bacchettata e decide di acquattarsi, per un po’. “Rilassati, lo avrai. Ma più tardi. Che fretta hai, l’alba è lontana”. Si alza, tutto il suo petto esce dall’acqua, mi afferra il bacino, stringo le gambe attorno al suo. Mi fa galleggiare, portandomi a spasso per la grande vasca. Mi godo il piacere di questo momento. Si siede sul bordo, io resto dentro al caldo. Decido di ricambiare e di ripagarlo delle tante attenzioni. La mia bocca assaggia la sua carne. Mentre la sua mano, dirige la mia testa, facendomi capire il ritmo che più gli piace. Sento il fremito del suo piacere pulsare tra le mie labbra. Inspessire la sua carne. Farsi spazio nella mia bocca che lo stringe e ne massaggia l’asta. La lingua si occupa della parte superiore, facendolo impazzire di desiderio. Visto che non c’è fretta, lo faccio terminare nella mia bocca. Alzo gli occhi, lo guardo compiaciuta, mentre il suo liquido caldo scende lungo la mia gola. Mi spingo via, prendo fiato e mi immergo. Resto sul fondo qualche istante. Ho voglia di chiudere gli occhi e di sentire il silenzio ovattato che solo l’acqua mi sa dare. Ma due braccia mi afferrano e mi sollevano, facendomi emergere. “Non abbiamo finito, dove scappi?”. Resto perplessa, di solito un uomo ha bisogno di qualche minuto per riprendere fiato, dopo aver subito le attenzioni della mia bocca. Ma la mia mano, scivolando tra le sue gambe, scopre piacevolmente che lui è un’eccezione. Mi spiazza di nuovo, uscendo dalla vasca. Afferra uno zaino, ne estrae due asciugamani. Se ne avvolge uno in vita. Viene verso di me, mi afferra per le braccia e mi fa uscire. Sono una bambolina, nelle mani di un gigante. E la cosa mi piace. Mi asciuga con l’altro telo bianco. Mi prende per mano, mi porta sul parapetto del balcone. Mi alza le braccia, mi fa appoggiare le mani su vetro. Mi cinge la vita da dietro, mi solleva e affonda sussurrando: “Adesso, si !”. Spalanco gli occhi e vedo San Marco laggiù, davanti a me. Sublime vista. Sublime, sesso. Sublime notte.