Sei arrivato da me con un labbro spaccato. Ho aperto la porta e mi sono trovata davanti un uomo nuovo. Uno sconosciuto. Ha le tue sembianze, ma non i tuoi occhi. Quegli occhi da buono che ti ho sempre detto tradiscano il fatto che tu la divisa, ce l’hai tatuata addosso. Anche se lavori in borghese. Anche se ti vesti da straccione e ti lasci crescere i capelli, la barba e le basette. Non sembrerai mai uno di quei tossici che vai ad arrestare. I tuoi occhi sono il tuo distintivo. Ma non stasera. Lo sguardo è feroce, incattivito. Non dici una parola. Ti faccio entrare, prendo cotone e disinfettante. Appoggi una mano sul tavolo e vedo che è insanguinata, gonfia. “Che ti è successo?”. Nessuna risposta. Ti sei accorto che i tuoi occhi mi feriscono. Li abbassi rivolti a terra. Ti pulisco i graffi nella mano. Mi siedo sulle tue gambe, ti guardo, muto e inerte. Mi preoccupi, non è da te. Tu che non fai in tempo a vedermi, che già mi hai baciata. Tu che mi sorridi e mi dici che sono la tua Fimmina. Tu che mi prendi con la voracità di un uomo affamato e mi consumi di sesso appassionato. Prendo il tuo viso tra le mani, ti faccio alzare gli occhi, che finalmente incrociano i miei. “Mi dici che è successo?” – “E’ finita. Non verrà mai più a darti fastidio”. Un brivido parte dalla nuca e corre giù. Erano settimane che un maniaco mi perseguitava, dandomi la caccia ovunque. Telefonate a qualunque ora, appostamenti sotto casa, regalini sul parabrezza dell’auto e persino due gomme squarciate. Un incubo. Dopo aver denunciato il tutto, dentro al bar di fianco alla caserma avevo incontrato lui, che da prima mi era sembrato un delinquente, più che un carabiniere. Quattro chiacchiere, in scioltezza. Mi aveva offerto il caffè, senza che me ne accorgessi, uscendo prima di me. Pensavo che non l’avrei più rivisto, ma un paio di giorni dopo mi ha contattata. Voleva saperne di più. In poco tempo siamo diventati amanti. Era un uomo educato, dolce e gentile. Ma da quella sera, fu tutto diverso. Lui mi aveva difesa, salvata. Ora leggo vergogna nel tuo sguardo, capisco che quel che hai fatto, sconfina nell’illecito. “Anche se lo avessi beccato fuori da casa tua, non gli avrei potuto fare niente. Ma ora sa che sei la mia donna e che ti deve lasciare in pace.” Mi avvicino per darti un bacio, allontani la testa di scatto. “No.. il sangue”. Prendo del cotone, lo bagno di saliva e lo passo sulla ferita, dolcemente. Mi alzo, ti prendo per mano e ti porto in bagno. Ti spoglio. Come fossi un manichino. Ti lasci fare. Esausto. Nell’animo, più che nel fisico. Apro l’acqua nella doccia. Ti faccio entrare. Mi libero dei miei vestiti e ti raggiungo. Prendo la mano ferita, la bacio e le faccio accarezzare il mio viso. La faccio scendere lungo il collo, lentamente. La spalla, lo sterno. Raggiunge il seno. E la lascio lì. Qualcosa in te prende vita. Lo sento premere tra le gambe. Lascio che l’acqua coli sulla tua carne, dopo essere passata sulla mia. Acqua calda, mista a me. Ti accarezzo, ti bacio. Continui a sfuggire al mio sguardo. Il tuo corpo è lì, la mente è altrove. Guardo l’altra mano. Serrata. Un pugno chiuso, un colpo in canna. Sento che c’è qualcosa di incompiuto. Ti è rimasto qualcosa di brutale dentro. Devo farlo uscire. Altrimenti marcirà. Allora mi giro. Faccia al muro, tu dietro. Sposto la tua mano dal seno e le faccio accarezzare il mio sedere. Di nuovo, sento la tua carne pulsante appoggiarsi alla mia. Te lo prendo e lo dirigo sul mio solco. “Finisci di sfogarti su di me”. Appoggio i palmi delle mani al muro, inarco la schiena, offrendomi e aspetto. “Ti prego, scopami con tutta la rabbia che ti è rimasta”. Non ti muovi, non fiati. “Ti prego”. Finalmente il tuo braccio cinge la mia vita, spingendomi verso di te, facendomelo entrare. Un unico colpo. Secco e deciso. Dalla mia bocca esce un mugolio di dolore. L’altra mano mi tappa la bocca severa e senza aspettare che la mia carne faccia posto alla tua, cominci a spingere. Non eri mai stato così violento. Non mi avevi mai presa così. Rabbioso e convulso mi stai facendo tua, nel modo in cui poco prima avevi picchiato quel tizio. La cosa mi eccita. Finalmente un uomo mi sovrasta. Mi dimostra il suo dominio. Dando sollievo al mio cervello, che finalmente si può rilassare. Ora c’è chi decide per me e del mio corpo. E’ tuo. Fallo vibrare a tuo piacimento. Usalo. Usami. Liberandomi dal giogo della paura nella quale ero confinata, mi hai legata a te. Ed ora ti offro la mia carne a ricompensa. Sento il peso del tuo corpo sbattere sul mio. Immobilizzandomi e schiacciandomi alla parete. La tua mano preme sulla mia bocca, impedendomi quasi di respirare. Sento i denti affondare sulla spalla e le dita premere sul bacino, serrandomi al tuo. Mi fai male. Mi piace. Non ti fermi. Non mi chiedi il permesso. Mi stai usando. E’ liberatorio, per entrambi. Interminabili minuti di violenza lacerano la mia carne. Ferendomi. Il mio istinto tenta di prendere il sopravvento. Facendo leva con le braccia, tento di scrollarti di dosso. La tua mano si sposta dal mio ventre, afferra prima un polso, poi l’altro. Me li porta sopra la testa, facendomi sbattere il viso contro il muro. Lo volto di scatto, per salvalo dalla tua furia e riuscire a respirare. Mi inchiodi le mani al muro con le tue. Me le premi fino a farle intorpidire. Mi hai totalmente immobilizzata. Una voce roca e nuova, mi sussurra all’orecchio: “Mia”. Quando ormai spero che ti fermi, che tutto questo finisca, che torni ad essere quello di sempre. Un’ultima spinta mortale mi lascia senza fiato, con la bocca spalancata. Resti lì inerte, schiacciato addosso al mio corpo e dentro alla mia carne. Pochi secondi di pausa rarefatta e ti lasci scivolare fuori, inginocchiandoti. Sento del liquido caldo uscire dal mio solco. Non so se sia sangue o seme. Mi giro. Vedo il tuo viso chino, lo prendo, lo premo contro il mio ventre. Lo stringo in un abbraccio quasi materno. “Quello, mi ha detto che tu eri sua. Per un attimo gli ho creduto e ti ho vista con lui. Non ho capito più niente. Tu sei mia! Sei la mia donna.”
L’acqua calda scintilla su di noi, bagna le mie lacrime e forse anche le tue. Confondendo dolore e piacere. Vittima e carnefice.
La parte più erotica del mio corpo è il CERVELLO. Senza, sarei soltanto un pezzo di carne sui tacchi.
I miei racconti
22 marzo 2011
15 marzo 2011
Adesso pagami !
La prima volta che me lo avevano proposto ne ero stata schifata. E’ successo in chat. Un tizio non si è manco presentato e mi ha scritto: “Ti piacerebbe provare ad essere pagata per fare sesso con me?” . Non sono mica una di mestiere, mi sono detta sdegnata. Con tutto il rispetto verso chi fa la professione, con molta meno ipocrisia di quelle che si prostituiscono nel lavoro, in banca o addirittura in famiglia. Ma io che c’entro ? Io sono diversa, non voglio essere pagata per fare quello che mi piace fare. E poi non saprei come si fa. Quanto varrebbe un’ora con me ? Poi …un’ora ? Basta ? E da quando la dovrei far partire ? Da quando lo spoglio ? Da quando mi spoglia lui ? E se lo vuole fare da vestito ? Insomma è chiaro che il campo non è il mio, quindi è meglio se lascio perdere. Però… Però un giorno chiacchierando di fantasie con il mio Porco amichetto di giochi, ci siamo imbattuti in questo argomento. “Lo faresti ?” mi chiese. Non saprei, avrei paura di trovarmi un maniaco in camera, però…! Però se magari tu fossi nel bagno, pronto ad intervenire nel caso qualcosa andasse storto…credo che si potrebbe fare. “Allora te lo procuro io, il cliente. Voglio farti da pappone per una volta. Contratto io il prezzo, tu dovrai solo farlo felice come sai far felice me.” Non ne parlammo più, per settimane. Il mio amico sa che la cosa peggiore da fare con me, è insistere. Per partito preso punto i piedi come i muli e non mi smuovi più. Una sera mi venne a prendere per cena, mi aveva detto che sarebbe passato presto e mi avrebbe portata in un posticino carino, ma lontano. Alle 18 suonò il campanello, aprì la porta e mi trovò pronta. Tubino nero, autoreggenti con balza rossa che si intravedeva appena, scarpe rosse tacco dodici. “Sei perfetta!” - Perfetta per cosa ? - “Per la tua prima marchetta!”. Sgranai gli occhi incredula. L’hai fatto sul serio ?! Ma dai, non vale. Non così. Senza preavviso ! “Dai su, poche storie e sali in macchina, non abbiamo molto tempo. Il tuo cliente ci aspetta alle 19 in albergo.” Mi ammutolii, non volevo dargli la soddisfazione di fargli sapere che la cosa mi stava eccitando e parecchio. In macchina restai imbronciata, lui allungò una mano, la infilò sotto la gonna, sentendo quanto ero bagnata. “Lo sapevo ! Chissà cosa ti sta già frullando in testa, Puttanella !” disse sorridendo compiaciuto. Arrivati all’hotel, ci accomodammo sul salottino della hall. Lui scattò una foto alle mie scarpe e mandò un mms al mio cliente, così mi avrebbe riconosciuta appena entrato e non sarebbe rimasta traccia del mio viso. Bevemmo qualcosa, poco prima dell’ora prevista, si alzò: “Vado su in camera, cercherò di stare nascosto in bagno senza fare troppo rumore. Fai la brava, anzi no…fai la porca !”. Non sapevo cosa fare. Se andarmene e dichiarare la mia resa o restare ad affrontare quest’altra avventura nella quale mi ero cacciata. Presi il cellulare, cercando di far passare i minuti che mancavano, cancellando i vecchi messaggi. Giusto per non pensarci troppo. Dopo un po’ un paio di piedi si fermarono davanti ai miei. Scarpe nere, eleganti. Pantaloni grigi, giacca, camicia, cravatta e la faccia di un uomo sulla quarantina, che tenta di nascondere l’acquolina alla bocca che gli era venuta al solo guardarmi. Mi venne un brivido che mi fece venire la pelle d’oca in tutto il corpo. Era adrenalina pura! Decisi che potevo anche provare a saltare da quell’aereo, tanto il mio paracadute era in bagno. Mi diedi un tono, un’aria vissuta quasi annoiata, di quella che queste cose le fa tutti i giorni. “Che ne dici di salire in camera ?” gli dissi voltandogli le spalle per farmi seguire. Guardai la tesserina magnetica, numero 327, terzo piano di solito. In ascensore lo guardai, gli sorrisi. “Prima volta con una che non conosci, vero?”. Mi rispose che lui queste cose non le fa mai, ma che il suo collega, un tipo del quale non si sarebbe sospettato che potesse girare in certi ambienti, gli aveva parlato bene di me. Si era persino preso la briga di coprirlo con la moglie, mandandogli una mail, accennando ad una riunione che sarebbe andata avanti fino a sera tardi. Arrivati alla porta della camera, strisciai la tessera lentamente, guardandolo come avrebbe fatto il bigliettaio del Paese dei Balocchi. “Ecco adesso chissà cosa penserai, ma io non so come…” Non gli lasciai terminare la frase, mi leccai un dito e glielo misi sulle labbra per farlo tacere e fargli sentire il mio sapore. Gli slacciai i pantaloni, lo feci sedere sul letto, mi voltai e gli chiesi di tirarmi giù la lampo del tubino. Lo tolsi e restai in biancheria, nera. Feci una lenta piroetta per fargli vedere tutta me e poi mi inginocchia davanti a lui. Alle mie spalle sulla destra, l’anta dell’armadio a specchio gli dava la visuale del mio sedere. Infilai due dita tra la sua pelle e l’elastico dei boxer. Con l’altra mano lo feci scivolare fuori e lo assaggiai, ungendolo di saliva. Mentre la mia lingua si occupava del suo piacere, sentii la porta del bagno davanti a me, accanto al letto, sbaciarsi. Era il mio amico, non riusciva a starsene buono dietro la porta, doveva dare una sbirciata. Rischiava di mandare tutto all’aria, il tipo avrebbe potuto vederlo riflesso ! Mi alzai per coprirgli la visuale, facendogli credere di volergli slacciare la cravatta per farlo stare più comodo. Lui ne aprofittò per prendermi il seno tra le mani, tirami giù il reggiseno e succhiarmi i capezzoli. Ansimai di piacere, come se la cosa mi facesse perdere la testa e lanciai un’occhiataccia al mio amico per intimargli di sparire dietro la porta. Appena in tempo, perché il mio cliente si alzò dicendomi: “Mi fai impazzire. Girati, voglio vederti allo specchio mentre ti scopo.” Mi voltai, le sue mani mi frugavano ovunque, affamate. Cercai di non far trapelare il mio divertimento in viso. Avrebbe potuto fraintendere e prendersela a male. Vederlo così eccitato mi faceva sorridere, ma non di derisione, bensì di compiacimento. Dalla tasca interna della giacca tirò fuori un preservativo e non mi lasciò il tempo di sbrigare per lui quell’incombenza. Era troppo eccitato. Mi mise una mano al centro della schiena, per farmi piegare in avanti. Appoggiai le mani ai lati dell’anta aperta, lasciandogli la visuale del mio seno riflesso e di me pronta ad accoglierlo. Mi spostò il tanga e me lo infilò. Restò così immobile, cercando di non lasciarsi andare troppo presto. Sentendo che la mia carne non faceva troppo attrito, chiusi le gambe, per stringerglielo bene. Piegai le ginocchia e cominciai a strusciarmi, lentamente. Mi urlò. “Ferma, stai ferma o vengo subito.” Mi rilassai, alzai la testa e restai a guardarlo riflesso. Se ne stava ad occhi chiusi, credo stesse pensando ai momenti più brutti della sua vita, per far defluire il sangue. Dopo un po’ decise che era arrivato il momento giusto per cominciare. “Che culo fantastico, li vale proprio i soldi che spendo.” Penso stesse davvero parlando al mio sedere e infatti con lui e solo con lui si divertì. L’idea di un uomo al quale piacesse così tanto il mio lato b, da pagare per averlo, dava piacere al mio ego portandomi a livelli di eccitazione impensati. In bagno c’era chi stava ascoltando i miei gemiti, quindi alzai il volume, per farmi sentire attraverso la porta. Sapevo che una mano stava simulando quanto accadeva alle mie spalle. In pratica stavo rendendo felici due uomini contemporaneamente. Decisi di concedere al mio cliente anche il lusso di finire in bellezza, abusando della mia porta sul retro. Senza toccarlo, mi sfilai, divaricai le gambe, appoggiai le mani sul solco e glielo offrii senza dire una parola. Lui gradì l’offerta: “Dio, questo è il massimo!”. Penetrò la mia carne e dopo poco venne. Non fu poi tanto male, anzi. Il mio cliente era stato così gentile da farmi persino godere sul serio. Non l’avevo preventivato. Alla fine, l’oretta trascorse velocemennte e vedendo che stava fissando l’orologio con aria preoccupata, pensai che dovesse correre a cena dalla mogliettina. Anticipando ogni sua eventuale richiesta, gli dissi che volevo farmi una doccia con calma. Lui ovviamente mi rispose che doveva proprio andare. Lo salutai come all’inizio del nostro incontro, appoggiando un dito bagnato di me sulla sua bocca, ma stavolta non lo leccai con la lingua. Prima di uscire mi disse che aveva dato i soldi al suo collega e che lui me li avrebbe dati appena lo avrei rivisto. Aprii la porta del bagno, incrociai lo sguardo soddisfatto del mio protettore e gli dissi sorridendo: “Adesso pagami !”
11 marzo 2011
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