La parte più erotica del mio corpo è il CERVELLO. Senza, sarei soltanto un pezzo di carne sui tacchi.

I miei racconti

12 novembre 2011

LEGAMI

Stanca della certezza della mia supremazia. Annoiata dal potere che esercita il mio solo sguardo su di te, ho voluto provocarti dicendoti: “LEGAMI”. Toglimi la volontà e rendimi tua preda. Esercita la tua dominazione. Fammi vedere un po’ della tua perversione. So che c’è. E’ in tutti. Basta solo trovare quella giusta.
Mi adori, lo so. Non mi faresti mai del male. Ma per una volta voglio essere dolcemente maltrattata. Virilmente scopata. Ferma la mia determinazione e piegami alle tue volontà.
Hai frugato nei miei occhi in cerca di consenso. Da sotto al cuscino, ho sfilato una morbida cintura di seta rossa. Hai sorriso, pensando che in fondo anche stavolta ero io la regista, tu soltanto un attore. “Legami sul serio, stretta, in modo che non riesca a liberarmi”. E una pagliuzza di piacere ha infuocato il tuo sguardo. Ne ero sicura ! Era ciò che volevi, ma non osavi chiedermi. Avermi tua. Soggiogata al tuo volere. Libero di darmi piacere come e quanto vuoi. Mi conosci, sai cosa mi piace. Ma sai anche che il mio piacere, me lo vado a prendere dove mi pare. E quanto concedermi, sta a me sola deciderlo. Ma stavolta, ti lascio campo libero. Fammi vedere come mi faresti tua, se te lo lasciassi fare. Le braccia dietro la testa, sdraiata con le mani legate alla testiera del letto, mi sussurri all’orecchio: “per farlo per bene, devo privarti di un’altra cosa”. Ti guardo e sorrido, orgogliosa della rinnovata conferma della mia superiorità. Mi sfiori seguendo il pizzo del reggiseno, la mia schiena si inarca, lasciandoti passare dietro, sento le dita armeggiare con i gancetti fino a liberare le forme esuberanti, turgide di piacere. Mi fissi, ricambio con aria di sfida. Voglio vedere fin dove arriverai. Stupiscimi. Mi copri gli occhi con il reggiseno. Sento la lingua scendere verso il ventre e una scia di saliva imbrattarmi la pelle. Arrivi agli slip, li sposti affondando prepotentemente in me. Ti servi senza pietà, senza chiedere il permesso. Senza ascoltare i miei lamenti. “Così mi fai male, piano”. Non rispondi. Mi sfili l’intimo dalle caviglie e dici “Passati la lingua tra le labbra”. Obbedisco e sento le tue dita infilarsi nella bocca. La spalanco chiedendone ancora. Ma piacevolmente stupita, ricevo in cambio della stoffa. Riconosco i miei slip. Me li hai spinti dentro, per farmi capire che nemmeno le proteste sono consentite, in un piacevole gioco di dominazione. Ora io sono strumento e tu il mio seviziatore. Un brivido parte dalla nuca, facendo alzare tutta la pelle, inarcare la schiena e fibrillare i capezzoli. Ora sai che mi piace. Abusa di me ! Allargo le gambe e aspetto di sentire di nuovo la tua foga affamata. Non mi fai aspettare e ti servi. Mi lecchi, mi succhi, mi mangi letteralmente. Piccole intense fitte di dolore misto a piacere, mi fanno sgorgare il succo delle voglie più segrete. E’ di quello che vai pazzo. Del mio sapore salato, dolce, aspro. Ed ora legata, bendata e con la bocca tappata, non posso più decidere quanto lasciartene, ne quando privartene. Te ne cibi senza pudore, scavando dentro di me alla ricerca della miniera di quel seme prezioso. Ad ogni affondo, tremo e socchiudo la bocca in cerca di altra aria. Punto i piedi, inarcando il bacino per offrirmi di più a te. Sento le tue mani stringere le mie natiche, mi vuoi. Lo so, non riesci a trattenerti. Sai che se ti negassi ora e te ne andassi lasciandomi lì inerme e senza avermi dato altro piacere, mi faresti impazzire, ma non riesci a trattenerti. Vince la bramosia. Vinco io, anche stavolta. Ti sento affondare, spingere, tenendomi avvinghiata a te. Le gambe attorno alla tua vita. Con le mani mi tieni il bacino incollato al tuo. Mentre mi scopi, invano tento di gemere facendomi spazio tra il pizzo. Sento il piacere arrivare, il tuo non il mio. Sento il vigore farsi più turgido. Sento il calore esplodere in me. E mi aspetto che ti fermi. “Adesso, girati”. Obbedisco, riesco a mettermi carponi, i gomiti sul cuscino, i polsi legati alla testiera, gli slip in bocca, ma libera di vederti. Mi volto e ti guardo. Sei sempre tu, ma nel tuo volto c’è una nuova fierezza. L’eccitazione aumenta. Mi metti una mano sugli occhi e mi mordi una spalla, continuando a scendere a piccoli morsi verso il mio sedere che si offre. Ci appoggi le mani, lo stringi, lo lecchi, lo spalanchi per affondare la lingua nei luoghi più intimi. La foga aumenta, diventa frenesia. Desiderio incontenibile di sentire carne pulsare e bruciare. Necessità di appartenerti fino al più profondo dei luoghi carnali. Sento che ti prepari ungendoti, lo appoggi, aspetti di vedermi pronta. Con le mani afferro le doghe della testiera alla quale sono legata, tua prigioniera. Il mio respiro si fa più intenso. Senti il fiato entrare ed uscire prepotentemente dalle narici e la schiena alzarsi ed abbassarsi freneticamente, come una puledra scalciante, aspetto di essere domata. Attendi il momento giusto, un mio inspiro e affondi ! Un gemito violento esce dalla gola, bloccandosi sulla soglia delle labbra, mentre dentro di me divampa il calore dell’estasi. Fermi immobili ci godiamo entrambi questo momento di passione elettiva. Il mio ego ed il tuo si sono accoppiati, ora possono tacere. Ora è il turno della carne. Le tue dita si fanno strada tra  gli umori che sgorgano ancora da me. Sento che cercano un contatto con la tua carne. Un sottile lembo della mia li separa. Tenendole ferme, ti strusci dentro di me e su di loro. Ritmicamente, lento ed impietoso. Non so più se mi stai scopando o se stai usando il mio corpo per scoparti.
Ma l’impossibilità di ribellarmi, mi eccita e mi tiene piegata al tuo volere dispotico. I colpi diventano più secchi. Le dita più severe. La mano che mi tiene ancorata alla tua pelle, serra la morsa. Alla soglia del dolore vero, un’ultima spinta mi fa cedere i gomiti e crollare esausta sul cuscino. Ho bisogno d’aria e tu dolcemente mi liberi la bocca. Sento che mi sleghi. Dita ancora umide di me, mi sfiorano le labbra, passano alla nuca e scendono lungo la schiena. Arrivate al sedere, si trasformano in uno schiaffo. “La mia puledra è stata domata!”.

21 luglio 2011

15 giugno 2011

Una recensione che mi calza come ...un guantino in lattice !

E' una donna affascinante, sicuramente sensuale, un po' egocentrica. Questo l'ho pensato subito dopo aver letto poche righe dal suo blog.
   Adesso che ho finito di studiarla posso dire che, oltre a questo, Alice è una donna intelligente, molto arguta e anche parecchio impaziente.
   Una sua frase che mi ha colpito, buttata lì con noncuranza mentre si chiacchierava, è che "viviamo tutti in una prigione di apparenze".
   Forse ha ragione, Alice. Le apparenze in fondo ci disturbano ma allo stesso tempo ci comandano, scandiscono i gesti, le parole di tutti. I vizi e le debolezze non fanno per noi, non almeno quando siamo sotto i riflettori. Siamo costretti a vivere una vita che non è nostra, con abitudini e manie così alterate che alla fine divengono asettiche e sterili.
   La sua vita apparente, quindi, quella che va mantenuta perfetta e assoluta, le iniziava a stare un po' strettina ed è per questo motivo  che questa bella ragazza dalle gambe lunghe ha deciso di indossare i panni di Alice e di aprire il suo diario. Aprendolo, ha acceso delle barriere trasparenti tra lei e il mondo esterno che le permettono di mostrarsi senza preoccuparsi di eventuali conseguenze.
   Sono barriere che non si possono infrangere, suppongo, perché - pur essendo sincera e raccontando senza peli sulla lingua ciò che solitamente ci si vergogna di raccontare - il suo anonimato è la cosa più importante, la norma principe che regola l'andamento del suo blog.
   E raccontare di un vizio, di una mania, di un'imperfezione in modo anonimo, secondo voi, non è un po' come non raccontarlo affatto?
   "So che può sembrare vigliaccheria", dice Alice rispondendo a questa mia innocua provocazione, "ma è solo una questione di semplicità. E' più facile partecipare alla vita reale fatta di opportunismi con una faccia, e a quella virtuale - che poi è più reale dell'altra - con un'altra; questo solo per non dovermi continuamente giustificare. Se il mondo va così non sarò certo io la Giovanna D'Arco che cerca di cambiare le cose".
   Ma la sua voglia di scoprirsi, di far uscire l'Alice che è dentro di lei, si fa sentire, lo si nota non appena si entra nel suo spazio virtuale; confessioni e fantasie, di questo si tratta, un mix tra verità e immaginazione. E' la prima volta, comunque, che trovo un blog nel quale la proprietaria vuole assicurarsi il completo anonimato ma, allo stesso tempo, pubblica in bella vista le sue foto più intime e private.
   E io non lo chiamerei esibizionismo. La gratitudine più alta e profonda per un esibizionista è il sapere di essere guardati e avere riscontri del suo scoprirsi da parte dei propri spettatori. Ma, visto che nel blog in questione chi si mostra è la stessa persona che più di tutti rimane al coperto, celata dietro un nome fittizio, con chi dovremmo congratularci, a chi dovremmo fare complimenti? Una bambola, una finta donna che potrebbe essere chiunque o che altro?
   "Francamente non ci penso proprio a mostrarmi tutta", confessa Alice. "Metà della soddisfazione sta proprio nel fatto di poter vivere entrambe le mie vite senza che l'una intralci l'altra. Motivo per il quale non è facile scavalcare quel muro che tiene separate le mie due identità. E poi credo che molto del fascino del blog stia proprio nel fatto che lasci spazio alla fantasia di ognuno. Credo che chi legge i miei racconti si sia creato la propria personale Alice. Renderla reale porterebbe comunque delusione".
   Io ho avuto la netta impressione, andando avanti col tempo e man mano che prendevo appunti su questo blog, che Alice potesse essere paragonata ai dispetti che si fanno da bambini: si tira il sasso e si nasconde la mano, ma in fondo si spera che qualcuno ci scopra perché abbiamo bisogno di attenzioni e di conferme, anche se poi abbiamo il terrore, il panico delle conseguenze. Forse ognuno di noi ha bisogno di garanzie e approvazioni. Perché Alice dovrebbe essere diversa?
   Ma che lei si chiami Alice o in qualsiasi altro modo non ha importanza. Che lei abbia venti, trenta o quarant'anni che differenza fa? Che le sue gambe siano lunghe, che il suo corpo sia affascinante, quanto contribuisce a rendere Alice la donna che è? Il blog nasconde una donna con una testa ben piantata sulle spalle, che sa il fatto suo, che prende dalla vita ciò che vuole perché sa in fondo che ciò che vuole le spetta di diritto.
   E poi, Alice trova conferme ogni giorno attraverso le decine di persone che visitano il suo blog. "Ci sono più uomini che donne, e questo mi dispiace", ci dice. "Le donne che non si lasciano attirare dal mondo dell'erotismo si perdono parecchie cose. La seduzione per me è un'onda, un flusso continuo che bolle, ribolle, sbatte e cesella. Un logorio che trasforma. Lento e avvolgente come una lingua calda e morbida che passa tra le labbra. O ruvido e carnale come un'unghia che ti striscia sulla schiena. Sa essere devastante, ma speri sempre, in fondo, che possa tornare a colpirti".   di Luca M.
http://www.mysecretdiary.it/bloggerinrosso/lemeravigliedialice.htm

07 giugno 2011

Pioggia d’estate

Una notte calda mi sveglia.
Nessun rimedio al mio tormento.
Il frigo mi lascia insoddisfatta.
Una doccia non basta a spegnere il mio ardore.
Che pulsa dal fondo.
Sete.
Non d’acqua ma di carne.
Ti raggiungo.
Nuda e gocciolante.
Nei capelli e tra le gambe.
Mi sdraio sopra di te.
Il mio seno, sulla tua schiena.
Ti chiede, si offre.
Dalla finestra soffia un alito d’aria umida.
Un temporale mi suggerisce il ricercato sollievo.
Ti chiedo di seguirmi.
Prendo una sedia.
La porto in terrazzo.
Strada deserta davanti a noi.
Lampione acceso.
Le case attorno restano assopite.
Mentre io mi siedo su di te e gemo di piacere.
La tua saliva sul mio collo.
Il tuo seme dentro me.
E la pioggia d’estate a lavare via il nostro peccato.

05 maggio 2011

Maschile sensazione di piacere

Apro gli occhi. La vista è annebbiata. Li chiudo. Buio. Li riapro. Buio. Qualche attimo e tutto torna a fuoco. Sono nuda, sul pavimento di casa mia. Che ci faccio qui ? Uno strano formicolio nel ventre, i piedi intorpiditi, le cosce fradice. Sei di fronte a me, sdraiato a terra. “Bentornata. Mi stavi preoccupando.” Ti conosco, so chi sei. Ti guardo perplessa. Cercando di ricordare. So che stavamo facendo sesso. Mi sono spogliata, mentre eravamo sul divano. Ti ho stuzzicato strusciando la mia carne nuda sui tuoi vestiti, lasciando tracce del mio desiderio sui tuoi jeans. Ti sei alzato, tenendomi in braccio e mi hai fatta sdraiare a terra. Mi hai detto che mi avresti portata in paradiso. Sono scoppiata a ridere. Quanti uomini prima di te, me l’hanno promesso ? Non potevo immaginare che oltre il confine del piacere conosciuto ed esplorato, ci fosse una soglia che porta alla perdizione dei sensi, dei pudori e dei tabù ancestrali. E’ dentro al ventre di una donna che viene custodito il segreto che rende i sessi più vicini e confusi. Mi accarezzi, schiudi le mie gambe ed entri in me. Le tue dita mi conoscono. Conoscono la mia carne. La ascoltano. Infuocarsi, sussurrare, contorcersi. Ti chiede, si offre, ti prega di non smettere. Tu continui la ricerca. Mi guardi, con gli occhi di chi sa di avere un potere nelle sue mani. Infili, rotei, ti fermi e mi guardi. Aspetti che la maestria dei tuoi gesti, compia il miracolo di trasformare il mio sguardo da fiero, a implorante. Attendi che la mia carne ti indichi la via. Che i miei liquidi bollenti, rendano le tue carezze vellutate e morbide. Inarco la schiena, dirigendo lo strumento verso la meta altre volte esplorata. Un altro monte di venere spugnoso, interno a me, ti attende e si tende gonfio di desiderio. Lo sfiori, facendomi spalancare occhi e  gambe. Ti fisso, assaporando il piacere correre tra le mie vene. Sorridi compiaciuto. Hai domato la puledra scalciante. Ora è pronta per il trotto. Non mi concedi il tempo di ritrovare il mio sguardo orgoglioso. Mi vuoi soggiogare inebriandomi con il piacere carnale che dici di sapermi donare. Mi affido alle tue mani. Conducimi nei luoghi della perdizione promessi. Mi rilasso e ascolto il mio corpo vibrare dopo ogni tua carezza. Non riesco a capire dove sei e cosa stai sfiorando. Non conosco i meandri della carne che stai solleticando. Ma so che mi piace. So che mi fanno ribollire qualcosa di ancestrale. Di talmente profondo da non riuscire ad afferrarne la provenienza. Mi fermano la mente, facendomi dimenticare di avere un organo destinato al controllo del mio corpo. Hai spento il mio maledetto cervello. Ora sono solo impulso. Un corpo che freme, che vive, che muore tra le tue mani. Quello che riesci a toccare di me, laggiù in fondo, mi uccide. Mi toglie il fiato. Fa uscire un sospiro gutturale e sordo dalle mie corde. Un ultimo fiato. Il ventre si contorce. Ogni contorsione mi riporta alla vita. Per poi togliermela di nuovo. Fino a desiderare di strizzare la mia carne e lasciare uscire il succo della vita. Uno zampillio caldo e viscoso esce irruentemente da me. Non è lava colante di umori, non è fluente liquido dorato. E’ uno schizzo di vita che mi rende simile ad un uomo. Seme che esce da me, invece di entrare. Questa nuova sensazione mi confonde, mi fa vergognare, mi preoccupa. Ti guardo dubbiosa. Mi rispondi fermo, intenzionato a continuare. Cerco la tua mano, stringo il polso, per toglierla da me. Per rinunciare a quel momento e riportarmi alla mia natura di donna. La materia grigia è tornata a comandare. Non le lasci scampo. Una sola lieve carezza di un tuo dito e sono di nuovo in bambola. Mi concedo, ancora. Fammi tornare ad essere quel che non sono, un uomo. Mi sposti la mano. Vuoi che mi tocchi. Vuoi rendermi partecipe della metamorfosi. Non riesco a contrastare la tua volontà. La tua mano dentro, la mia fuori. Le mie dita cercano di contenere un clitoride sfacciatamente esposto. Lo titillano lievemente. Di più non potrei sopportare. Sento un dito tornare a solleticarmi. Torno a contorcermi di piacere umido e conosciuto. Non ho la minima idea di dove siano le altre e cosa di me stiano accarezzando. Sento solo una forte e calda contrazione arrivare da dentro, farmi desiderare di espellere qualcosa. Divento carne strizzata e pulsante, che fa schizzare altro seme. Vibrazioni di piacere immenso si impadroniscono di me. Del mio pube, del mio ventre, della mente e del corpo. Corto circuito di emozioni. La nuova, maschile sensazione di piacere, mi fa liquefare tra i miei umori. Mi spengo. Esausta.

13 aprile 2011

Faccio da sola


Quando mi tocco, lo faccio da sola.
Al termine di una giornata pesante, allegra, noiosa o appagante. Insomma, lo faccio spesso e senza un reale motivo, solo per darmi piacere. C’è bisogno di una scusa per concedersi altri vizi ? Non mi pare. Bacco non mi interessa, Tabacco neppure, lasciatemi Venere ci divertiremo assieme.  Mi piace sentire la mia pelle. E’ fatta di grana sottile, scorre morbida e polposa sotto le dita. Accarezzo la pancia, lentamente. Scendo lungo le gambe. Arrivo alle ginocchia e poi viro verso le coscie. Ne scelgo una, la destra. Ne comincio la tortura.
La sfioro, la solletico. Si increspa di piacere. Un brivido scorre dalla nuca al tallone.
Mi preparo a  godere del piacere che solo le mie mani mi sanno dare. Indugio, mi piace l’attesa. Chiudo gli occhi e ascolto il mio corpo. Il calore comincia a divampare. La lava comincia  a sgorgare. Un dito passa sotto alle mudandine,  ne solleva il bordo, si intrufola.  Esploro il mio pube, i polpastrelli ne perlustrano ogni centimetro, scovo i più sottili peli sfuggiti all’estitetista. Ci giocherello, pregustando il sadico piacere che mi darà strapparli dopo. L’indice si dirige verso il centro, si bagna di me, ritorna su. Cerca il bottoncino, lo solletica, lo abbandona. L’altra mano afferra l’elastico in alto, vorrebbe strapparlo. Mi concentro. Non devo concerdermi il massimo piacere. Non subito. Non sarebbe intenso come vorrei. Torno a sentire il velluto della mia pelle sotto alle dita. Mi allontano, ritorno. Mi regalo un’altalena di piacere. Ogni volta che la mia mano ritorna verso il fulcro di me, affonda le dita tra le gambe. Cercando di soprendermi e di perdere il controllo, con l’altra mano mi accarezzo l’interno della coscia. La pelle più sottile e levigata di me, la accoglie. Le gambe si chiudono. La costringono a rimanere e continuare a dare piacere. La schiena si innarca, offrendomi il pube. La testa non pensa più. È il corpo che parla. Pulsa. Vuole. E’ il momento di concedermi a me stessa. Torna in gioco l’indice, che raggiunge sicuro il bottoncino affamato. Ne delinea il contorno, formando dei piccoli cerchietti appena accennati. Aspetta che il sangue arrivi a gonfiarlo, come il vento fa con le vele. Il confine del piacere si allarga impercettibilmente, ogni attimo. La carne si inturgidisce, prende forma. Si erige. Pronta ad accettare carezze più decise. Sento il piacere sgorgare da là sotto. E mi piace. Chiudo gli occhi. Nessuna immagine maschile si intrufola nelle mie fantasie. Solo il pensiero del mio corpo che vibra sotto il mio stesso volere. Me ne compiaccio. Il dito medio raggiunge l’indice ed assieme continuano a sfregare circolarmente la mia carne, che diventa famelica e ansimante. Il ritmo accellera, all’unisono con il battito del cuore. I piedi faticano a stare fermi. Le dita si allargano. Il respiro diventa rauco. La mano libera cerca qualcosa da stringere. Afferra il bordo del letto, della scrivania o della sedia. Ci pianta le unghie ancorando la mente a qualcosa di solito per evitarne la fuga, in lidi di follia e estasi. Mi lascio pervadere da un piacere edonistico. Sto facendo l’amore con la persona che più conta al mondo. Me.

06 aprile 2011

Un paio di scarpe comode

"Un paio di scarpe comode, al resto ci penso io" questa e' l'unica risposta che mi ha dato, quando gli ho chiesto cosa dovevo portare. Mi ha torturata per una settimana, affamando la mia curiosità di femmina. Alimentandola di tanto in tanto, con piccoli indizi e smentite. Crudele a parole, quanto a letto. Non mi vuole concedere il massimo piacere, lasciando insoddisfatta la mia golosa impazienza.  "Insomma! Dove mi porti per il mio compleanno?". Ma non sono riuscita a carpirgli nessuna informazione. Solo sorrisetti compiaciuti di chi sa che quanto sta architettando sarà di suo sicuro godimento e spero anche del mio. L'aria primaverile, stempra l'insolita temperatura estiva. Decido per un look a strati. Vestitino corto turchese, spolverino lungo nero, scarpe abbinate aperte davanti, con l'immancabile tacco 12. Con lui posso permettermelo. Finalmente un uomo come piace a me. Un armadio a sei ante. Alto, robusto e stazzato. Con uno così accanto, a nessuno verrebbe mai in mente di darmi noia, quindi posso permettermi di esagerare.  Salgo in auto, mi squadra e mi rimprovera, dicendomi che avrò sicuramente freddo, vestita cosi poco. "E le scarpe? Mi sa che odierai quei tacchi a fine serata". La cosa mi intriga ulteriormente, non riesco ad immaginare cosa gli passi per la mente. Vuole farmi marciare? Pensa di farmi camminare a lungo? Basterebbe parcheggiare vicino al ristorante, no? Le chiacchiere mi distraggono e non mi danno il tempo di guardare dove stiamo andando. Solo ormai giunti a destinazione, mi accorgo della laguna attorno a noi. Venezia. Il mio sguardo cade sulle scarpe. In effetti il tacco alto non e' stata una grande idea, ma il guaio e' che non ne ho davvero altre nell’armadio. Per me le scarpe da donna, in quanto tali, devono avere un tacco alto. Altrimenti si passa a quelle da ginnastica.  Passeggiamo lungo le calle della città più romantica al mondo. Senza che mi abbia sfiorata. Nemmeno un bacio di saluto o un'occhiata languida lungo la scollatura. Nulla. Comincio a pensare di essere invisibile. Eppure la gente intorno a noi, mi spoglia con gli occhi. Entriamo nel ristorantino e una tavolata di occhi famelici mi sbrana. Lui sceglie il tavolo accanto e mi fa sedere di fronte a loro. Vuole che mi guardino e che io guardi loro. Tanto più e' invitante un piatto, quanto più ne e' orgoglioso il cuoco. E sarà lui il solo commensale di quel tavolo imbandito, almeno lo spero. Durante la cena, la mia gamba struscia sulla sua, lui la sposta delicatamente. La mia mano si intrufola sotto la tovaglia, strisciando come un serpentello indisponente, verso la sua tana. La ferma, agguantandola e stringendola come una tenaglia. "Ahaia, mi fai male con quelle mani enormi". Mi sorride, molla la presa. Deciso e risoluto, vuole tenermi in castigo. Mi e' vietato l'accesso al luna park. Ma non ne capisco il motivo. Gli sguardi di una decina di uomini mi stanno strappando i vestiti di dosso e lui non mi guarda neppure? Dice alla cameriera di incartare il dolce, lo mangeremo dopo. La cosa mi sembra sempre più eccitante. Usciamo, camminiamo. A lungo. Vicini ma mai troppo. Comincio a pensare che voglia sfiancare il mio spirito ribelle e i miei poveri piedini. Lo seguo, passeggiandogli accanto. Appena mi avvicino troppo lui si ferma, mi guarda, avvicina il viso al mio, aspetta che io schiuda le labbra, si sposta verso il mio orecchio e mi sussurra: “Non ancora”. E’ la terza volta che lo fa. Mi sto spazientendo. Ma insomma. Comincio ad essere stanca e infreddolita. Bella la laguna di notte, ma ora voglio tornare a casa. Tanto stasera non si combina nulla, ho già capito. Mentre penso tutto questo, imbocchiamo un vicolo chiuso. Un palazzo disabitato davanti a noi. Mette una mano in tasca, prende un mazzo di chiavi e apre il portone. “Vieni, adesso inizia il bello”. Ecco! C’è riuscito di nuovo, sono in balia della mia stupida curiosità. E’ il mio peggior difetto e il mio miglior pregio. Per merito suo ho vissuto momenti indimentibabili di vita, per colpa sua mi sono cacciata in un sacco di guai. E forse questo ne sarà l’ennesimo esempio. Entro e scopro che nel palazzo stanno ultimando un restauro magistrale. Antico fuori, modernissimo dentro. Mi piace curiosare nei cantieri. Immaginare come saranno vissuti gli spazi, una volta terminati. Lui è sparito dietro ad un cavedio, lasciandomi al centro di un atrio buio. D’un tratto, una luce accecante mi illumina dall’alto. Alzo gli occhi e vedo un enorme lampadario bianco di Murano sopra la testa. Resto imbambolata a guardarlo, finchè una mano afferra la mia, tirandomi. Inciampo sui miei piedi. Lui mi afferra, con la stessa facilità con la quale si agguanta un cuscino mentre sta cadendo. Mi piace sentirmi piccola, tra le braccia di un uomo dalla corporatura imponente. “Togliti le scarpe. Non dobbiamo fare rumore. Non dovremmo essere qui”. I suoi occhi sono sempre sorridenti, la voce sempre risoluta. E’ un contrasto che mi spiazza. Non so mai se finga di essere dolce o se invece faccia finta di essere un duro. Il mio infallibile istinto tace. Lasciandomi in balia degli eventi. “Ecco, adesso togliti anche i vestiti, fammi vedere cos’hai preparato per me, là sotto”. Che devo fare ? Ribellarmi o cedere ? Come a poker, decido di vedere cos’ha in mano, se sta bluffando giuro che lo strozzo. Saliamo quattro piani di scale. Lui mi fa strada, io lo seguo seminuda, stranamente docile. Entriamo in quello che sarà l’attico. Mi dice di dargli un minuto. Sparisce di nuovo nel buio. I miei occhi si sono abituati all’oscurità e frugano in giro, cercando indizi. Vedono soltanto spazi vuoti, finemente disegnati. Immaginano come saranno, una volta arredati. “Segui la mia voce e attenta a dove metti i piedi”. Arrivo in un terrazzo enorme. Candele tremolanti, delineano i bordi di una piscina d’acqua calda fumante. Venezia dall’alto e le stelle sopra di noi. Lui mi aspetta dentro. “Mi hai detto che non l’hai mai fatto in acqua e che ti piace farlo all’aperto. Eccoti accontentata. Buon Compleanno.” Resto ammutolita. Sfilo l’intimo, scivolo nella vasca, mi lascio abbracciare dall’acqua e da lui. Finalmente mi bacia. Lento e avvolgente. Mi spinge verso il bordo della vasca, apro le braccia, appoggio le mani e la testa, mi lascio galleggiare. Lui mi allarga le gambe, intrufolandoci il viso. Afferrra il mio sedere, tenendolo sollevato dall’acqua e comincia a torturarmi con la lingua. La sensazione dell’acqua calda, che mi accarezza tutta la pelle e della sua bocca sulle mie labbra laggiù, mi manda in estasi. Apro gli occhi per gustarmi anche le stelle. Sento le sue dita entrare e il desiderio di essere riempita della sua carne mi fa rabbrividire. Glielo confesso. Lui risponde con la solita, odiosissima frase: “Non ancora”. Vorrei avere le mie scarpe, per battere i piedi e dimostrargli il mio disappunto. Voglio il mio dolce e lo voglio ora. Lui ride. “Sei abituata ad ottenere tutto quello che vuoi e quando lo vuoi tu ?”. Il mio ego riceve una bacchettata e decide di acquattarsi, per un po’. “Rilassati, lo avrai. Ma più tardi. Che fretta hai, l’alba è lontana”. Si alza, tutto il suo petto esce dall’acqua, mi afferra il bacino, stringo le gambe attorno al suo. Mi fa galleggiare, portandomi a spasso per la grande vasca. Mi godo il piacere di questo momento. Si siede sul bordo, io resto dentro al caldo. Decido di ricambiare e di ripagarlo delle tante attenzioni. La mia bocca assaggia la sua carne. Mentre la sua mano, dirige la mia testa, facendomi capire il ritmo che più gli piace. Sento il fremito del suo piacere pulsare tra le mie labbra. Inspessire la sua carne. Farsi spazio nella mia bocca che lo stringe e ne massaggia l’asta. La lingua si occupa della parte superiore, facendolo impazzire di desiderio. Visto che non c’è fretta, lo faccio terminare nella mia bocca. Alzo gli occhi, lo guardo compiaciuta, mentre il suo liquido caldo scende lungo la mia gola. Mi spingo via, prendo fiato e mi immergo. Resto sul fondo qualche istante. Ho voglia di chiudere gli occhi e di sentire il silenzio ovattato che solo l’acqua mi sa dare. Ma due braccia mi afferrano e mi sollevano, facendomi emergere. “Non abbiamo finito, dove scappi?”. Resto perplessa, di solito un uomo ha bisogno di qualche minuto per riprendere fiato, dopo aver subito le attenzioni della mia bocca. Ma la mia mano, scivolando tra le sue gambe, scopre piacevolmente che lui è un’eccezione. Mi spiazza di nuovo, uscendo dalla vasca. Afferra uno zaino, ne estrae due asciugamani. Se ne avvolge uno in vita. Viene verso di me, mi afferra per le braccia e mi fa uscire. Sono una bambolina, nelle mani di un gigante. E la cosa mi piace. Mi asciuga con l’altro telo bianco. Mi prende per mano, mi porta sul parapetto del balcone. Mi alza le braccia, mi fa appoggiare le mani su vetro. Mi cinge la vita da dietro, mi solleva e affonda sussurrando: “Adesso, si !”. Spalanco gli occhi e vedo San Marco laggiù, davanti a me. Sublime vista. Sublime, sesso. Sublime notte.

22 marzo 2011

La mia carne a ricompensa

Sei arrivato da me con un labbro spaccato. Ho aperto la porta e mi sono trovata davanti un uomo nuovo. Uno sconosciuto. Ha le tue sembianze, ma non i tuoi occhi. Quegli occhi da buono che ti ho sempre detto tradiscano il fatto che tu la divisa, ce l’hai tatuata addosso. Anche se lavori in borghese. Anche se ti vesti da straccione e ti lasci crescere i capelli, la barba e le basette. Non sembrerai mai uno di quei tossici che vai ad arrestare. I tuoi occhi sono il tuo distintivo. Ma non stasera. Lo sguardo è feroce, incattivito. Non dici una parola. Ti faccio entrare, prendo cotone e disinfettante. Appoggi una mano sul tavolo e vedo che è insanguinata, gonfia. “Che ti è successo?”. Nessuna risposta. Ti sei accorto che i tuoi occhi mi feriscono. Li abbassi rivolti a terra. Ti pulisco i graffi nella mano. Mi siedo sulle tue gambe, ti guardo, muto e inerte. Mi preoccupi, non è da te. Tu che non fai in tempo a vedermi, che già mi hai baciata. Tu che mi sorridi e mi dici che sono la tua Fimmina. Tu che mi prendi con la voracità di un uomo affamato e mi consumi di sesso appassionato. Prendo il tuo viso tra le mani, ti faccio alzare gli occhi, che finalmente incrociano i miei. “Mi dici che è successo?” – “E’ finita. Non verrà mai più a darti fastidio”. Un brivido parte dalla nuca e corre giù. Erano settimane che un maniaco mi perseguitava, dandomi la caccia ovunque. Telefonate a qualunque ora, appostamenti sotto casa, regalini sul parabrezza dell’auto e persino due gomme squarciate. Un incubo. Dopo aver denunciato il tutto, dentro al bar di fianco alla caserma avevo incontrato lui, che da prima mi era sembrato un delinquente, più che un carabiniere. Quattro chiacchiere, in scioltezza. Mi aveva offerto il caffè, senza che me ne accorgessi, uscendo prima di me. Pensavo che non l’avrei più rivisto, ma un paio di giorni dopo mi ha contattata. Voleva saperne di più. In poco tempo siamo diventati amanti. Era un uomo educato, dolce e gentile. Ma da quella sera, fu tutto diverso. Lui mi aveva difesa, salvata. Ora leggo vergogna nel tuo sguardo, capisco che quel che hai fatto, sconfina nell’illecito. “Anche se lo avessi beccato fuori da casa tua, non gli avrei potuto fare niente. Ma ora sa che sei la mia donna e che ti deve lasciare in pace.” Mi avvicino per darti un bacio, allontani la testa di scatto. “No.. il sangue”. Prendo del cotone, lo bagno di saliva e lo passo sulla ferita, dolcemente. Mi alzo, ti prendo per mano e ti porto in bagno. Ti spoglio. Come fossi un manichino. Ti lasci fare. Esausto. Nell’animo, più che nel fisico. Apro l’acqua nella doccia. Ti faccio entrare. Mi libero dei miei vestiti e ti raggiungo. Prendo la mano ferita, la bacio e le faccio accarezzare il mio viso. La faccio scendere lungo il collo, lentamente. La spalla, lo sterno. Raggiunge il seno. E la lascio lì. Qualcosa in te prende vita. Lo sento premere tra le gambe. Lascio che l’acqua coli sulla tua carne, dopo essere passata sulla mia. Acqua calda, mista a me. Ti accarezzo, ti bacio. Continui a sfuggire al mio sguardo. Il tuo corpo è lì, la mente è altrove. Guardo l’altra mano. Serrata. Un pugno chiuso, un colpo in canna. Sento che c’è qualcosa di incompiuto. Ti è rimasto qualcosa di brutale dentro. Devo farlo uscire. Altrimenti marcirà. Allora mi giro. Faccia al muro, tu dietro. Sposto la tua mano dal seno e le faccio accarezzare il mio sedere. Di nuovo, sento la tua carne pulsante appoggiarsi alla mia. Te lo prendo e lo dirigo sul mio solco. “Finisci di sfogarti su di me”. Appoggio i palmi delle mani al muro, inarco la schiena, offrendomi e aspetto. “Ti prego, scopami con tutta la rabbia che ti è rimasta”. Non ti muovi, non fiati. “Ti prego”. Finalmente il tuo braccio cinge la mia vita, spingendomi verso di te, facendomelo entrare. Un unico colpo. Secco e deciso. Dalla mia bocca esce un mugolio di dolore. L’altra mano mi tappa la bocca severa e senza aspettare che la mia carne faccia posto alla tua, cominci a spingere. Non eri mai stato così violento. Non mi avevi mai presa così. Rabbioso e convulso mi stai facendo tua, nel modo in cui poco prima avevi picchiato quel tizio. La cosa mi eccita. Finalmente un uomo mi sovrasta. Mi dimostra il suo dominio. Dando sollievo al mio cervello, che finalmente si può rilassare. Ora c’è chi decide per me e del mio corpo. E’ tuo. Fallo vibrare a tuo piacimento. Usalo. Usami. Liberandomi dal giogo della paura nella quale ero confinata, mi hai legata a te. Ed ora ti offro la mia carne a ricompensa. Sento il peso del tuo corpo sbattere sul mio. Immobilizzandomi e schiacciandomi alla parete. La tua mano preme sulla mia bocca, impedendomi quasi di respirare. Sento i denti affondare sulla spalla e le dita premere sul bacino, serrandomi al tuo. Mi fai male. Mi piace. Non ti fermi. Non mi chiedi il permesso. Mi stai usando. E’ liberatorio, per entrambi. Interminabili minuti di violenza lacerano la mia carne. Ferendomi. Il mio istinto tenta di prendere il sopravvento. Facendo leva con le braccia, tento di scrollarti di dosso. La tua mano si sposta dal mio ventre, afferra prima un polso, poi l’altro. Me li porta sopra la testa, facendomi sbattere il viso contro il muro. Lo volto di scatto, per salvalo dalla tua furia e riuscire a respirare. Mi inchiodi le mani al muro con le tue. Me le premi fino a farle intorpidire. Mi hai totalmente immobilizzata. Una voce roca e nuova, mi sussurra all’orecchio: “Mia”. Quando ormai spero che ti fermi, che tutto questo finisca, che torni ad essere quello di sempre. Un’ultima spinta mortale mi lascia senza fiato, con la bocca spalancata. Resti lì inerte, schiacciato addosso al mio corpo e dentro alla mia carne. Pochi secondi di pausa rarefatta e ti lasci scivolare fuori, inginocchiandoti. Sento del liquido caldo uscire dal mio solco. Non so se sia sangue o seme. Mi giro. Vedo il tuo viso chino, lo prendo, lo premo contro il mio ventre. Lo stringo in un abbraccio quasi materno. “Quello, mi ha detto che tu eri sua. Per un attimo gli ho creduto e ti ho vista con lui. Non ho capito più niente. Tu sei mia! Sei la mia donna.”
L’acqua calda scintilla su di noi, bagna le mie lacrime e forse anche le tue. Confondendo dolore e piacere. Vittima e carnefice.

15 marzo 2011

Adesso pagami !

La prima volta che me lo avevano proposto ne ero stata schifata. E’ successo in chat. Un tizio non si è manco presentato e mi ha scritto: “Ti piacerebbe provare ad essere pagata per fare sesso con me?” . Non sono mica una di mestiere, mi sono detta sdegnata. Con tutto il rispetto verso chi fa la professione, con molta meno ipocrisia di quelle che si prostituiscono nel lavoro, in banca o addirittura in famiglia. Ma io che c’entro ? Io sono diversa, non voglio essere pagata per fare quello che mi piace fare. E poi non saprei come si fa. Quanto varrebbe un’ora con me ? Poi …un’ora ? Basta ? E da quando la dovrei far partire ? Da quando lo spoglio ? Da quando mi spoglia lui ? E se lo vuole fare da vestito ? Insomma è chiaro che il campo non è il mio, quindi è meglio se lascio perdere. Però… Però un giorno chiacchierando di fantasie con il mio Porco amichetto di giochi, ci siamo imbattuti in questo argomento. “Lo faresti ?” mi chiese. Non saprei, avrei paura di trovarmi un maniaco in camera, però…! Però se magari tu fossi nel bagno, pronto ad intervenire nel caso qualcosa andasse storto…credo che si potrebbe fare. “Allora te lo procuro io, il cliente. Voglio farti da pappone per una volta. Contratto io il prezzo, tu dovrai solo farlo felice come sai far felice me.” Non ne parlammo più, per settimane. Il mio amico sa che la cosa peggiore da fare con me, è insistere. Per partito preso punto i piedi come i muli e non mi smuovi più. Una sera mi venne a prendere per cena, mi aveva detto che sarebbe passato presto e mi avrebbe portata in un posticino carino, ma lontano. Alle 18 suonò il campanello, aprì la porta e mi trovò pronta. Tubino nero, autoreggenti con balza rossa che si intravedeva appena, scarpe rosse tacco dodici. “Sei perfetta!” - Perfetta per cosa ? - “Per la tua prima marchetta!”.  Sgranai gli occhi incredula. L’hai fatto sul serio ?! Ma dai, non vale. Non così. Senza preavviso ! “Dai su, poche storie e sali in macchina, non abbiamo molto tempo. Il tuo cliente ci aspetta alle 19 in albergo.” Mi ammutolii, non volevo dargli la soddisfazione di fargli sapere che la cosa mi stava eccitando e parecchio. In macchina restai imbronciata, lui allungò una mano, la infilò sotto la gonna, sentendo quanto ero bagnata. “Lo sapevo ! Chissà cosa ti sta già frullando in testa, Puttanella !” disse sorridendo compiaciuto. Arrivati all’hotel, ci accomodammo sul salottino della hall. Lui scattò una foto alle mie scarpe e  mandò un mms al mio cliente, così mi avrebbe riconosciuta appena entrato e non sarebbe rimasta traccia del mio viso. Bevemmo qualcosa, poco prima dell’ora prevista, si alzò: “Vado su in camera, cercherò di stare nascosto in bagno senza fare troppo rumore. Fai la brava, anzi no…fai la porca !”. Non sapevo cosa fare. Se andarmene e dichiarare la mia resa o restare ad affrontare quest’altra avventura nella quale mi ero cacciata. Presi il cellulare, cercando di far passare i minuti che mancavano, cancellando i vecchi messaggi. Giusto per non pensarci troppo. Dopo un po’ un paio di piedi si fermarono davanti ai miei. Scarpe nere, eleganti. Pantaloni grigi, giacca, camicia, cravatta e la faccia di un uomo sulla quarantina, che tenta di nascondere l’acquolina alla bocca che gli era venuta al solo guardarmi. Mi venne un brivido che mi fece venire la pelle d’oca in tutto il corpo. Era adrenalina pura! Decisi che potevo anche provare a saltare da quell’aereo, tanto il mio paracadute era in bagno. Mi diedi un tono, un’aria vissuta quasi annoiata, di quella che  queste cose le fa tutti i giorni. “Che ne dici di salire in camera ?” gli dissi voltandogli le spalle per farmi seguire. Guardai la tesserina magnetica, numero 327, terzo piano di solito. In ascensore lo guardai, gli sorrisi. “Prima volta con una che non conosci, vero?”. Mi rispose che lui queste cose non le fa mai, ma che il suo collega, un tipo del quale non si sarebbe sospettato che potesse girare in certi ambienti, gli aveva parlato bene di me. Si era persino preso la briga di coprirlo con la moglie, mandandogli una mail, accennando ad una riunione che sarebbe andata avanti fino a sera tardi. Arrivati alla porta della camera, strisciai la tessera lentamente, guardandolo come avrebbe fatto il bigliettaio del Paese dei Balocchi. “Ecco adesso chissà cosa penserai, ma io non so come…” Non gli lasciai terminare la frase, mi leccai un dito e glielo misi sulle labbra per farlo tacere e fargli sentire il mio sapore. Gli slacciai i pantaloni, lo feci sedere sul letto, mi voltai e gli chiesi di tirarmi giù la lampo del tubino. Lo tolsi e restai in biancheria, nera. Feci una lenta piroetta per fargli vedere tutta me e poi mi inginocchia davanti a lui. Alle mie spalle sulla destra, l’anta dell’armadio a specchio gli dava la visuale del mio sedere. Infilai due dita tra la sua pelle e l’elastico dei boxer. Con l’altra mano lo feci scivolare fuori e lo assaggiai, ungendolo di saliva. Mentre la mia lingua si occupava del suo piacere, sentii la porta del bagno davanti a me, accanto al letto, sbaciarsi. Era il mio amico, non riusciva a starsene buono dietro la porta, doveva dare una sbirciata. Rischiava di mandare tutto all’aria, il tipo avrebbe potuto vederlo riflesso ! Mi alzai per coprirgli la visuale, facendogli credere di volergli slacciare la cravatta per farlo stare più comodo. Lui ne aprofittò per prendermi il seno tra le mani, tirami giù il reggiseno e succhiarmi i capezzoli. Ansimai di piacere, come se la cosa mi facesse perdere la testa e lanciai un’occhiataccia al mio amico per intimargli di sparire dietro la porta. Appena in tempo, perché il mio cliente si alzò dicendomi: “Mi fai impazzire. Girati, voglio vederti allo specchio mentre ti scopo.” Mi voltai, le sue mani mi frugavano ovunque, affamate. Cercai di non far trapelare il mio divertimento in viso. Avrebbe potuto fraintendere e prendersela a male. Vederlo così eccitato mi faceva sorridere, ma non di derisione, bensì di compiacimento. Dalla tasca interna della giacca tirò fuori un preservativo e non mi lasciò il tempo di sbrigare per lui quell’incombenza. Era troppo eccitato. Mi mise una mano al centro della schiena, per farmi piegare in avanti. Appoggiai le mani ai lati dell’anta aperta, lasciandogli la visuale del mio seno riflesso e di me pronta ad accoglierlo. Mi spostò il tanga e me lo infilò. Restò così immobile, cercando di non lasciarsi andare troppo presto. Sentendo che la mia carne non faceva troppo attrito, chiusi le gambe, per stringerglielo bene. Piegai le ginocchia e cominciai a strusciarmi, lentamente. Mi urlò. “Ferma, stai ferma o vengo subito.” Mi rilassai, alzai la testa e restai a guardarlo riflesso. Se ne stava ad occhi chiusi, credo stesse pensando ai momenti più brutti della sua vita, per far defluire il sangue. Dopo un po’ decise che era arrivato il momento giusto per cominciare. “Che culo fantastico, li vale proprio i soldi che spendo.” Penso stesse davvero parlando al mio sedere e infatti con lui e solo con lui si divertì. L’idea di un uomo al quale piacesse così tanto il mio lato b, da pagare per averlo, dava piacere al mio ego portandomi a livelli di eccitazione impensati. In bagno c’era chi stava ascoltando i miei gemiti, quindi alzai il volume, per farmi sentire attraverso la porta. Sapevo che una mano stava simulando quanto accadeva alle mie spalle. In pratica stavo rendendo felici due uomini contemporaneamente. Decisi di concedere al mio cliente anche il lusso di finire in bellezza, abusando della mia porta sul retro. Senza toccarlo,  mi sfilai, divaricai le gambe, appoggiai le mani sul solco e glielo offrii senza dire una parola. Lui gradì l’offerta: “Dio, questo è il massimo!”. Penetrò la mia carne e dopo poco venne. Non fu poi tanto male, anzi. Il mio cliente era stato così gentile da farmi persino godere sul serio. Non l’avevo preventivato. Alla fine, l’oretta trascorse velocemennte e vedendo che stava fissando l’orologio con aria preoccupata, pensai che dovesse correre a cena dalla mogliettina. Anticipando ogni sua eventuale richiesta, gli dissi che volevo farmi una doccia con calma. Lui ovviamente mi rispose che doveva proprio andare. Lo salutai come all’inizio del nostro incontro, appoggiando un dito bagnato di me sulla sua bocca, ma stavolta non lo leccai con la lingua. Prima di uscire mi disse che aveva dato i soldi al suo collega e che lui me li avrebbe dati appena lo avrei rivisto. Aprii la porta del bagno, incrociai lo sguardo soddisfatto del mio protettore e gli dissi sorridendo: “Adesso pagami !”

08 marzo 2011

Il mio mentore

In molti ormai leggendomi si saranno fatti un’idea della femmina che sono e della donna che sono diventata. Alcuni si chiedono come ho fatto, almeno per quel che riguarda il sesso. Tutta colpa di un uomo. Come al solito ! E della mia attrazione verso quelli più grandi, complessi e complicati. Troppo facile avere a che fare con i miei coetanei, per una che fin da piccola aveva acquisito le tattiche di seduzione sul campo. Ed era anche fin troppo banale e noioso avere a che fare con uomini che capitolavano frettolosamente di fronte al mio burroso corpo di donna acerba. Molto meglio giocare con uno stimolante fuoriclasse. Uno al di sopra della mia portata, ma non troppo. Poco più che ragazzina io, uomo fatto ed esperto lui. Una sola esperienza di sesso nel mio passato, infinite donne sedotte nel suo. Un faro nella notte, lo definiva la mia amica. Belloccio, ma soprattutto carismatico. Uno di quelli che si fa notare in una stanza affollata. Per temperamento e modo di porsi. Anche solo stando fermo e muto. Era per come scrutava la gente, anzi le donne. Solo le donne. Le guardava con l'attenzione compiaciuta di chi sa leggerle e carpirne segreti e punti deboli. Teneva un mazzo di chiavi nel suo borsello ed ognuna di esse, apriva la porta di qualsiasi tipo di donna creata. Quella ferita, quella compiaciuta di se. La madre, la capo ufficio. Quella che fa la prima mossa e quella che aspetta il suo turno. Perché tanto con uno così, il proprio turno arriva sempre. Prima o poi, lui il tempo per te lo trova. Quella sera toccava ad Alice. Era scritto nel suo destino, anche se lei non lo sapeva. Era un venerdì sera. Mi ero preparata a dovere, ma per un altro. Un ragazzino che non aveva retto alla mia intraprendenza, dandosela a gambe prima ancora di sedersi al banchetto. Così avevo deciso di vendicarmi e di far salire in auto quell’uomo che al corso mi scrutava, con un sorrisetto compiaciuto. Un gruppetto di gente stava andando in discoteca e decidemmo di seguirli. In auto ci scambiammo solo qualche battuta. Nervosa e arrabbiata io, calmo e gioviale lui. Aveva capito il gioco della ragazzina e aveva tutta l’intenzione di aprofittarne. In fondo se uno era stato talmente sciocco da non acchiappare al volo un’opportunità simile, perché non avrebbe dovuto rimediare lui. I balli di gruppo divennero pretesti per fugaci toccatine e in un lampo tutta la gente intorno, sparì dietro ad una cortina di fumo giallognolo. Rimanemmo solo noi due o almeno così mi sembrò. A ballare come in quel film in cui “nessuno può mettere Baby in un angolo”. Ricordo solo il suo modo di cingermi la vita. Forte. Tenendomi stretta a se. Mi guardava dritta negli occhi, cercando qualcosa o vedendo qualcun altra che ancora non sapevo di poter essere. Un uomo mi stava facendo sentire la sua donna. Non avevo bisogno di altro, per essere eccitata e desiderosa di essere sua. Ce ne andammo, lo riportai alla sua macchina lasciata nel parcheggio del centro. Lo avevano divertito la mia guida sportiva e il mio atteggiarmi da esperta guidatrice. Scese, fece il giro, aprì il mio sportello e mi fece dondolare le chiavi della sua auto davanti al naso. “Vuoi provare a guidare con il cambio automatico ? Prova il mio, è tutta un’altra cosa “.  Mi impartì un paio di consigli e partimmo. Sempre più divertito e rilassato lui, sempre più nervosa e spiazzata io. Gli chiesi dove stessimo andando. Mi disse: ”Da nessuna parte, ma se accosti tra dieci metri, siamo sotto casa mia.” Non osai batter ciglio. In fondo che poteva mai essere una situazione simile, per una navigata donnina come me ? Ostentai uno degli ultimi bricioli di sicurezza che mi rimanevano in tasca e salii le scale. Come il più abile dei burattinai stava facendo muovere la sua bambolina, facendole credere di essere autonoma. Mi fece sedere sul divano, lui mise un cuscino per terra davanti a me e ci si posò sopra. Mi sfilò uno ad uno gli stivali, massaggiandomi i piedi e chiacchierando di letteratura. Un uomo colto, intelligente, prestante e gentile mi stava coccolando e riempiendo di attenzioni. Come avrei potuto esimermi dal cedere e concedergli ciò che finora non si era neppure posto il problema di chiedere. Non occorreva. Non c’era fretta. Né esigenza. C’era solo volontà di giocare a vedere quando avrei ceduto. Mi disse che l’odore del fumo della discoteca gli dava fastidio. Se lo sentiva addosso. Andò verso il bagno, “stai pure lì mentre io mi faccio una doccia veloce”. Stai pure lì ? E per forza dove vuoi che vada? Sono qui, non so nemmeno bene dove e ci sono arrivata con la tua auto! Le note di quella che poi diventò la nostra canzone, mi tennero compagnia. Da quel momento in poi, ogni volta che avrei pensato a lui, mi sarei sentita “tra le braccia di un angelo”. Intanto pensavo a cosa avrei dovuto fare. A quello che lui forse si aspettava da me. A quello che sicuramente non avrei dovuto, ma che tanto volevo provare a fare. Nei miei sogni di donna mi sarei alzata, lo avrei raggiunto in bagno, togliendomi i vestiti uno ad uno di fronte a lui e finendo col lasciarmi bagnare d’acqua e di passione. Ma ero piccola e insicura. Mi sentivo tremendamente fuori posto e stupida. Mi alzai, diretta verso la porta d’entrata, non so bene con quale piano per ritornare alla mia auto. Lui uscì, asciugamano in vita, capelli bagnati. Non disse una parola. Si avvicinò lentamente, mi prese per la vita e mi assaggiò. Sentii la sua pelle bagnare il mio viso e la saliva mischiarsi alla mia. “C’è un altro asciugamano in bagno, è pulito, usalo. Ti aspetto a letto”. Non mi chiese nulla. Non ordinò nulla. Diede semplicemente voce ai miei pensieri. Chiusi gli occhi, entrai in bagno e decisi di dare un morso al biscotto che mi avrebbe fatta crescere di colpo, facendomi diventare la donna che sono. Non avvenne tutto quella notte, ma fu l’inizio. Uno ad uno mi tolsi tutti i veli della mia inesperienza. L’acqua ricoprì la pelle bianca, lavando via il mio profumo di ragazzina e il sudore dell’eccitazione. Uscendo dalla doccia, gocciolante di paura e di desiderio, avvolsi il mio corpo in un asciugamano bianco. Come una messale, ero pronta ad essere iniziata al mondo del piacere adulto. Non potevo sapere cosa mi stesse aspettando! All’uscita dal bagno, trovai una sola piccola luce a darmi la direzione verso la quale andare. Entrai in camera, vidi un baldacchino in legno con sopra un grande letto ad un metro dal soffitto. Una scaletta per arrivarci. Ad ogni gradino, l'asciugamano si slacciava. Lo lasciai cadere all'ultimo. Gli occhi di un uomo con il doppio dei miei anni, mi attendevano. Mi disse di sdraiarmi, mi accarezzò le spalle e la schiena, sentendo la mia tensione. Adagio, sciolse ogni mio muscolo e con lui ogni mia ritrosia. Ad un tratto mi resi conto di essere nuda, distesa accanto ad un uomo nudo. Volevo che sapesse che non ero una inetta donnina acerba. Così mi girai e la mia bocca si diresse subito verso il centro del suo piacere. Mi fermò. “Non è così che andrà. Non sarà una cosa veloce, né una cosa che hai già provato. Sarà nuovo, intenso e te lo ricorderai per tutta la vita. Si chiama Tantra. Ed ha bisogno di tempo.” Non sapevo se stesse dicendo sul serio o se scherzasse. Se mi stesse prendendo in giro o che altro. Sapevo solo che un uomo eccitato se ne stava sdraiato di fianco a me, senza passare alla frettolosa fase successiva. Dandomi il tempo di accettare questa nuova condizione, senza la paura che l’attimo svanisse. Mi accarezzò tutta, sfiorandomi con i polpastrelli e la lingua. Soffermandosi in quelli che poi scoprii essere i miei punti erogeni. Mi stava perlustrando, centimetro dopo centrimetro, portandomi ad un livello di eccitazione mai provata. Mi fece girare, mi baciò accarezzandomi il viso, i capelli. Intervallando tenerezza all’eccitazione, mi stava facendo raggiungere un orgasmo mentale, prima ancora che fisico. Era come andare in altalena. Ogni volta che pensavo di aver raggiunto il punto più alto, mi sentivo scivolare via. Apprezzando anche il senso di vuoto, che si prova nel lasciarsi cadere. Per poi ricominciare di nuovo a salire, cercando di raggiungere la vetta assoluta. Finalmente si decise ad entrare in me. E come tutto fino ad allora, anche quel gesto fu estremamente lento. Stupita da tanta immobilità, non sapevo cosa fare. Un suo sussurro all’orecchio, dileguò anche quel dubbio: “alza le gambe, appoggia i piedi al soffito e dirigimi verso il tuo piacere”. Mi lasciò sbigottita ! Avevo un uomo sopra e dentro di me, ma potevo decidere io come farlo muovere ? Fù una rivelazione che cambiò repentinamente la mia visione del sesso. Non fui mai più passiva, tranne che per mia volontà. Seguii le sue indicazioni, piedi sul soffitto, inarcai la schiena e dondolai il bacino decidendo profondità, frequenza e durata della sua penetrazione. Lui si godette lo spettacolo, quanto il più orgoglioso Pigmalione può esserlo dopo aver plasmato la sua creatura dalla creta. Quello che ne seguì furono incontri di sesso magico, in cui il raggiungimento del mio piacere era la base per cominciare a godere entrambi e non l’inutile ornamento di una visione alquanto egocentrica e maschilista dell’uomo medio. Nessuna spinta ossessiva, nessuna fretta spasmodica di arrivare (ma poi dove ?). Soltanto il giocoso girovagare nell’altrui fonte del piacere. Mi marchiò a vita dicendomi: “sei nata per fare sesso”. Lo presi come la lode, del maggior punteggio ottenuto all’università della vita.

01 marzo 2011

Ritorno da quello della chat

Sono tornata da lui ogni tanto. Il nostro solito rituale. Accordi precisi in chat. Un'orario, il citofono, le scale, la porta del suo ufficio che si apre, la benda sugli occhi e la sua schiava pronta ad eseguire cio' che lui vuole. Tutto come da programma. Tranne quella volta. La volta in cui tutto cambio'. Intenti come eravamo nei nostri piaceri, non sentimmo la porta pricipale aprirsi. Udimmo solo quando sbatte', chiudendosi. Eravamo nell'ufficio in fondo al corridoio, pochi metri ci separavano da chiunque fosse entrato. Mi disse di rimanere li' immobile, ancora bendata. Obbedii. Lui si rimise i pantaloni e si allontano'. Sentii che una voce maschile salutava il mio amico sconosciuto. Era il suo capo. Parlottarono qualche minuto. Poi lui rientro' dicendomi, che era nei guai. Che era sposato e che quell'incidente avrebbe avuto delle conseguenze enormi per lui. Ma il suo capo era disposto a chiudere la faccenda, se avesse potuto partecipare ai nostri giochi. Accettai, pensando che volesse solo guardare. Lui ando' ad avvisare il suo capo, il quale entro' subito dopo nella stanza. Un odore di colonia dozzinale permeo' la stanza all'istante. Non era sicuramente giovane. L'atmosfera si era raggelata. Il mio amico mi si avvicino'. Ero in piedi davanti ad una scrivania senza gonna, solo calze e perizoma. Mi tocco' tra le gambe. Ero calda e bagnata, eccitata ed impaurita. “Mettiti in posizione” mi ordino'. Mi piegai in avanti, a novanta gradi, mani sul tavolo. Mi infilo' le dita ovunque la' dietro, con foga! . Ero bagnatissima, frastornata da tanta irruenza, sentivo la mia carne cedere a quella brutale ma eccitante violenza, davanti e dietro. Dentro e fuori, ripetutamente, freneticamente. Spingeva uno, due, tre, quattro dita dentro. Si fermava, per riprendersi. La sua eccitazione era tale da non riuscire a trattenere la saliva che sentivo gocciolare sul sedere. Credo sia riuscito a infilare l'intera mano un paio di volte, perché l’ho sentito gemere più forte. Poi d'un tratto si fermo'. “Ecco dottore, e' pronta. Se la goda.” Mi aveva preparata per il suo capo! Il quale aveva assistito allo spettacolo calandosi i pantaloni e masturbandosi per bene. Il mio amico si mise seduto sulla scrivania, davanti alla mia faccia. “Metti le mani sulle mie gambe e stringi, fammi sentire quanto godi a farti scopare dal mio capo. E intanto tienimelo in bocca.”
Nel frattempo, sentivo avvicinarsi una presenza molle alle mie spalle. Era un corpo flaccido, che a contatto con la mia pelle si rinvigori'. Lo sentivo pulsare, anche se ancora fuori da me. Due mani mi spalancarono le natiche e due dita fredde, entrarono nella mia carne. “Sente quanto e' bagnata? E' pronta, si faccia sotto.” Io intanto non fiatavo, aspettando di sentire cosa mi avrebbe penetrato. Appena sentii le dita uscire, entro' la punta del suo pene e a fatica infilò tutto il resto, lentamente facendosi strada in quella carne fremente.
Non era del tutto in forma, il nonnetto ! Ma si riprese subito, non appena contrassi il sedere, glielo strinsi talmente tanto da farglielo resuscitare. Comincio' a pompare, avanti e indietro! Il poverino non aveva tanto fiato e non duro' molto, il cuore non gli avrebbe retto lo sforzo. Intanto stringevo le cosce al mio amico, che si godeva la mia lingua, la mia bocca e i miei gemiti di piacere. Oltre alla vista del suo capo nel mio culo!  Impagabile, disse. Per alcune volte successive in cui riproponemmo la stessa scena al suo capo, per saldare il debito e mantenergli il posto di lavoro.

23 febbraio 2011

Il pianista

Incontrarne uno per una donna equivale a vincere un biglietto gratis per il paese dei balocchi ! Di solito si tratta di un uomo normalmente dotato la' sotto, ma con uno smisurato ego. Uno a cui piace vedere la donna godere, contorcersi e mugugnare fino a possederla letteralmente tra le sue mani.
Sadico al punto giusto e consapevole del proprio potere da fermarsi poco prima del momento della perdita della ragione di una donna, per farsi implorare di continuare. Li adoro! Perche' arrivata ad una certa eta', dopo aver provato molto (mai tutto) sull'argomento sesso, un solo modo di godere non basta! Nella mia collezione non poteva mancare, un pianista d’eccezione. Ogni tanto viene a trovarmi, quando sa che in ufficio sono sola e annoiata. La settimana scorsa ho deciso che mi meritavo un premio, dopo un lungo e snervante periodo di lavoro. Così mi sono presa la mattinata libera e gli ho proposto di fare colazione assieme, a casa mia. Come da abitudine, dieci minuti prima del suo arrivo manda un messaggio per avvisarmi, la prudenza non è mai troppa. La mia risposta è stata: “Troverai la tavola imbandita”. Non credo si aspettasse di trovarmi stesa a pancia in giù sopra al tavolo, nuda e con attorno una selezione di alimenti da potermi spalmare addosso. Panna, miele, yogurt. Oltre a qualche giochino per adulti e dei fantastici cubetti di ghiaccio fatti a forma di piccoli cilindri (secondo me chi ha brevettato quella formina, l’ha pensata esattamente per l’uso che ne ho fatto io, altro che “ghiaccioli per le bottiglie”!). Mi passa una mano lungo tutta la schiena, facendo terminare la corsa tra le mie gambe. Sono già maledettamente eccitata al pensiero di quelle dita, lui lo sa e se ne gongola. Mi allarga le gambe, comincia a stuzzicarmi le labbra, mi sta accordardo con accuratezza come il più professionale dei pianisti prima di un concerto. Mi spruzza un ciuffetto di panna su entrambe le natiche. Le lecca. La sua lingua segue il mio solco, fino a trovare la mia lava incandescente. Ci infila un paio di dita, finalmente! Il suo tocco è delicato, velluto che si insinua dentro me. Le lascia lì ferme, le allarga e le chiude. Le rotea attorno alla mia carne che fremere. Sono già in un altro pianeta, quello del piacere. Prende il ghiaccio, lo intinge in me e me lo porta alla bocca. Ne prende ancora e lo infila sotto, lasciandolo a sciogliersi al solo contatto con la mia carne. Mi alzo e mi metto seduta sul tavolo, lui sulla sedia davanti a me. Sotto al mio sedere un lago di ghiaccio sciolto e di mie voglie bagnate. Un pollice si prende cura del mio clitoride, appena lo appoggia fremo, è troppo eccitante. Lo toglie, lasciando il tempo di riprendermi. Torna a sfiorarlo appena. Mi sdraio, cercando di controllarmi. E’ assurdo lo so, ma quello è il mio piacere più intimo. Il primo ad essere stato scoperto quando ero piccola, molto piccola. Quello che resta il prediletto nei momenti più privati, “tu sola dentro una stanza e tutto il mondo fuori”, cantava Vasco. Lui sa che deve essere delicato. Occuparsi di quel piacere è un’arte, quanto saper fare il solletico. E’ un crescendo, lento e armonioso. Il tocco deve essere stuzzicante e mai invadente. Carezze soffiate da un suo dito, al mio bottoncino magico. Che se ne sta al riparo rintanato nella mia carne. Dicono che il clitoride sia paragonabile ad un piccolo pene, con una sensibilità almeno il doppio superiore al glande maschile. Quindi siate gentili con lui e ve ne sarà grato. Movimenti circolari, sottili e leggeri fino a farlo ingrossare, pulsante di eccitazione. Ecco che la pressione del dito del mio pianista diventa più forte, mai troppo. I miei gemiti gli danno il ritmo, come pure i sussulti del mio bacino. E’ un crescendo di intensità, paragonabile al piacere di quel brivido che ti fa venire la pelle d’oca su tutto il corpo, quando qualcuno ti passa un dito lungo la schiena. Solo che il brivido parte da dentro il pube e si diffonde a raggera in te. E quando il picco è raggiunto e il piacere è arrivato, il tocco ritorna ad essere sfiorato, lento. Sta suonando il miglior canone inverso che sia mai stato composto. Non appena le convulsioni cominciano a scemare e il battito del mio cuore tenta di tornare alla normalità, qualcosa di ruvido, bagnato e caldo avvolge il mio piacere, riportandomi nella perdizione. La sua lingua è arrivata a dare il cambio alle dita, che lentamente scendono per intrufolarsi dentro me. Una frustata di piacere mi fa inarcare la schiena. Lui si alza in piedi, per vedermi. Vuole godere della mia espressione estasiata. Lascia le dita immobili. Due, sono più che sufficenti. Lui sa che il piacere di una donna non è in un buco da riempire, ma in migliaia di terminazioni nervose che si trovano sulla soglia di quel buco.  Le lascia unite e comincia a rotearle, facendomi impazzire di desiderio. Movimenti circolari e lenti, mi torturano piacevolmente. Non riesco a tenere fermi i piedi. Non riesco a trattenere i mugugnii, che diventano urla ansimanti. Ma quando penso di aver raggiunto la perdizione assoluta, quelle dannate dita mi riservano il più delizioso dei piaceri di donna. Ruota la mano, palmo in su e le dita si piegano dentro di me, cercando il leggendario punto g. Un piccolo lembo di carne spugnosa nascosta certamente da un creatore della vita oltremodo maschilista. Perchè non ha voluto concedere troppo facilmente, un piacere così grande ad Eva. Con le punte, me lo sfiora per poi strusciarci sopra le falangi, non troppo delicatamente. Una lama di calore mi penetra tutta. Mi deve tenere ferma al tavolo, tanto è forte la sensazione. La testa è evaporata via e con lei il senso della ragione. Sono totalmente sua. Ammaliata dalla sua capacità di farmi godere, lo seguirei ovunque. Ora potrei concedergli tutto! La porta sul retro, il pin del bancomat e persino decidere di sposarlo.
Beh non esageriamo, quello no. Mai !

15 febbraio 2011

Uccelli di rovo

Non potevo crederci, era vero ! Quell’uomo alto, prestante e premuroso conosciuto al diving, che era diventato il mio compagno di immersioni in quelle vacanze, era un prete ! Mi aveva persino fatto vedere il tesserino Padi, con tanto di foto in abito talare con il collare bianco ! Nei due giorni precedenti passati in barca, mi aveva dato l’impressione di essere un uomo molto colto. Avevamo spaziato in argomenti tra il serio e il faceto, ma sempre con grande intelligenza e profondità. Non avevo indagato sulla vita personale. Francamente non mi interessava. Era un ottimo e affidabile sub, educato e gentile sopra e sotto l’acqua. Per il resto sembrava uno riservato. Appena scesi dalla barca salutava con un sorriso e spariva fino al mattino successivo. Pensavo fosse lì con moglie e figli. E invece, guarda cosa scoprivo dalla battuta di una ragazza: “mi raccomando voi due, a non fare la replica di Uccelli di Rovo !”. Se doveva essere un modo per scoraggiare le mie intenzioni, sortiva l’opposto intento. Un prete mi mancava nella collezione ! Gli feci l’occhiolino di femmina attizzata da questa sorpresa. Lui rispose con uguale segnale, di uomo vissuto e abituato a queste provocazioni del diavolo tentatore. Credo fosse divertito dalla mia reazione. Meglio di uno psicologo conosceva l’animo umano e le sue debolezze. In fondo i sacerdoti, sono solo uomini che hanno fatto voto di celibato, non di castità, a differenza delle colleghe di sesso femminile. Lo so perché una come me, non può che aver studiato in un collegio cattolico, ovviamente.
Da quel momento cambiò tutto. Il modo di togliermi i vestiti per restare in costume in barca. Il modo di sdraiarmi accanto a lui a prendere il sole, chiedendogli di spalmarmi la crema sulla schiena. Il modo di farmi aiutare a chiudere la cerniera della muta, pregandolo di fare attenzione a non pizzicarmi. Tutto era finalizzato a sedurlo. Provocazioni sottili, mai volgari. Ero intenzionata a strisciare nei suoi pensieri lascivamente, come soltanto una serpe sa fare. Padre mi perdoni, perché fra non molto, avrò peccato. E lei con me !
La regola della settimana di ferie la conosciamo tutti. La sera ideale per realizzare la meta è quella del giorno prima della partenza. Se va tutto bene, resta un bel ricordo. Al contrario se l’avventura di una notte si rivela un disastro, ognuno torna a casa sua entro poche ore, evitando imbarazzanti saluti ti circostanza. Quindi sapevo che quella sera era quella giusta. Passai tutto il giorno a lanciare ami e lui ad abboccare. Prima di me aveva capito dove volevo arrivare e perché. Era una sfida a chi cedeva per primo. E visto che era lui la mia preda, non fece una mossa. Aveva delegato a me il ruolo di cacciatrice e io abituata e determinata, ci sguazzavo. Arrivati al molo, prima dei saluti, gli dissi: “7 1 3  2 1” , lui mi chiese ironicamente se era il mio numero di scarpe. “I primi tre numeri ti dicono dove trovarmi, gli ultimi due a che ora ti aspetto” Sorrisi e me ne andai. Dentro di me un fuoco divampò e qualcosa ne uscì fuori, passando tra le gambe. Rientrai in camera, mi sdraiai sul letto per dormire un po’, dovevo essere in forma per la serata. Quando mi svegliai era tardi, mancava un’ora all’appuntamento e non avevo cenato. Mi infilai in doccia, passai il rasoio in fretta, mi asciugai e scelsi cosa indossare. Che gusti avrà un prete ? Era un tipo misurato, ma lo sguardo era quello birichino di un uomo, non di un santo. So che mi aveva guardato il seno, deglutendo l’acquolina che gli aveva inondato la bocca. Qualcosa di scollato. Minigonna bianca senza intimo, sandali e top neri. Uscii in fretta per mangiare qualcosa al volo. Quella sera la gente mi guarda con più insistenza. Forse avevo esagerato, la gonna è davvero troppo corta. Pensai. “Chissenefrega, domani questi non li ricorderò neppure !”. Trangugiai qualcosa e tornai verso la camera. Sulle scale in penombra, sentii dei passi scendere verso di me. “Stavo venendo a cercarti” mi disse il prete, si fermò e mi sorrise. Alzai lo sguardo e con tutta la sfrontatezza possibile risposi: “Oppure te ne stavi scappando con la coda tra le gambe, per non affrontare le tentazioni del diavolo ?” .
Mi prese la mano, mi tirò a sé per darmi un bacio. Mi girai di lato, sentii la sua lingua sul collo e un sussurro all’orecchio: “Lasciamo le questioni teologiche ai vescovi e concediamoci ai piaceri della carne, donnina indisponente”.
Mi infilò una mano sotto la gonna e alzò il sopraciglio sentendo la pelle del mio sedere nudo scivolare sotto le sue dita. Mi spinse contro il muro, baciandomi. Si sbottonò in fretta e mi penetrò lì sulle scale. Tutto il villaggio turistico stava cenando, mentre io avevo lasciato intingere la particola di un prete, nel mio calice di desiderio.
La cosa durò poco. Con mia grande soddisfazione, mentale ma non carnale. Ero riuscita a far perdere il controllo ad un uomo che dell’autocontrollo aveva fatto la sua missione di vita. Ma non ero sazia, ora dovevo godere io. Lo baciai, a lungo. E poi gli dissi di entrare in camera mia. Mi chiese di andare in bagno. Lo lasciai tranquillo per qualche minuto, poi lo raggiunsi. Era stupito dalla mia mossa, forse pensava che potessi considerare conclusa la cosa, con la sveltina di prima. Entrai e guardandolo, mi sfilai la gonna, slacciai il reggiseno, tolsi il top e restai nuda davanti a lui. Entrai in doccia: “devo lavarmi dal peccato” e con sensualità mi feci bagnare dall’acqua, accarezzandomi dolcemente tutto il corpo. Lui se ne stava fisso a guardarmi. Pietrificato. Le carezze divennero più intime. Davanti a lui, una donna si stava toccando sotto la doccia. Non si mosse. Allora uscii io, lo feci sedere sul water e mi sedetti sopra. Bagnata fradicia di acqua e di desiderio, gli inzuppai i vestiti. Gli tolsi la camicia, sbottonai i pantaloni e feci uscire la sua carne. Cominciai a strusciami, facendolo trasalire di desiderio. Credo non avesse mai nemmeno immaginato che il diavolo potesse arrivare a tanto! Rincarai la dose, inginocchiandomi davanti a lui e prendendoglielo in bocca. Solo così il vigore di qualche minuto prima, tornò a renderglielo duro. Sapevo che non era abituato a trattenersi, quindi non mi ci dedicai molto, non volevo rischiare di finire troppo in fretta. Mi alzai, mi voltai e dandogli le spalle, mi sedetti sopra di lui, facendolo entrare in me. Le mie mani stringevano le sue ginocchia e le sue i miei fianchi. Restai così qualche secondo. Poi iniziò la mia danza. Lentamente mi concentrai sul ritmo delle penetrazioni. Cinque veloci e una lenta, profonda. Quattro veloci e due lente. Scalando via, via fino a farle diventare solo un’interminabile lunga spinta dentro di me. In quell’istante venne e anch’io. Restammo immobili, sfiniti e attoniti da quanto intenso era stato. Mi alzai e uscii dal bagno, sentii l’acqua della doccia scrosciare e dopo qualche minuto, uscì con l’asciugamano legato in vita e i vestiti in mano. Se ne andò senza dire una parola. Con un senso di colpa stampato in faccia. L’indomani, le solite trafile del rientro. Valige nell’atrio, pulmini stracolmi, strade impolverate. Lo cercai inutilmente tra gli imbarchi. Pensai si stesse nascondendo da me, la testimone del misfatto compiuto. Solo giunti all’aeroporto, sbucò da una fila di gente, mi raggiunse, mi guardò dolcemente e mi disse: “ho lasciato il sacerdozio un anno fa. Mi dispiace per la tua collezione, ma sono soltanto un uomo!”.

10 febbraio 2011

Il treno dei desideri (all'incontrario va)

Una notte di passione, lontano da tutto e tutti. Ce l’eravamo concessa a fatica.
Perché il nostro tempo doveva essere ritagliato e vissuto in clandestinità.
Nella consapevolezza che quel momento era destinato ad essere unico, non avevamo sprecato una goccia di quella dissetante acqua sorgiva, trovata in un’oasi a seicento chilometri da casa. Una notte indimenticabile e indimenticata. Il mattino dopo ci svegliammo, ci vestimmo e andammo verso la stazione, cercando di non manifestare troppo la tristezza che ci pervadeva l’anima. Avevamo altre sei ore per stare assieme, ma non più nell’intimità di una camera da letto, bensì in un affollato treno gremito di pendolari. I nostri corpi che si erano fusi fino a qualche ora prima, non riuscivano ad accettare questa nuova condizione di separazione, cercandosi furtivamente ad ogni occasione. Una mano mi sfiorava gentile, una gamba restava cocciutamente appoggiata alla sua. Il contatto fisico restò pressoché inalterato durante quasi tutto il tragitto, accrescendo la frustrazione del non poter più tornare ad essere di nuovo un corpo solo. Lui non è mai stato un uomo di molte parole, ma di azione. Il lavoro che aveva scelto di fare, rispecchiava la sua indole. Uno come lui lo si chiama durante le emergenze, quando si è in pericolo. E non ci si aspettano grandi discorsi, ma gesti e rapide valutazioni in grado di salvarti la vita. Ecco perché scesi dal primo treno per salire sul secondo, non dissi nulla quando mi fece segno di seguirlo fino all’ultima carrozza, che una volta partiti diventò la prima. Quella occupata per metà dal macchinista. Scelse di farmi sedere nella prima fila, una parete di lamiera davanti e pochi sedili vuoti dietro. Eravamo di nuovo soli nell’incombenza di toccarci. Lentamente il treno lasciò la stazione, per immergersi in un’anonima sequenza di case e alberi fruscianti. Lo guardai seduto accanto a me, ci baciammo con la stessa intensità di sempre. I nostri non erano semplici baci, ma vere e proprie dichiarazioni di passione eterna e reciproca. Non riuscii a trattenermi e mi sedetti sopra di lui. La mia pelle aveva sete della sua. Volevo che mi toccasse, mi possedesse, mi penetrasse ancora. Non potevo immaginare di sentire la nostalgia di lui, in posti in cui non era biologicamente possibile provare emozioni. E la frustrazione per non poterlo fare, accresceva la voglia, che divampava facendomi prendere decisioni azzardate. Gli sorrisi, lui mi guardò come si guarda una bimba che non si riesce a sgridare. Gli sbottonai i jeans e lo accarezzai. Sentii di nuovo la sua voglia pulsare tra le mie mani, desiderando di sentirla altrove. Alzai la svolazzante gonna estiva, dispiegandola sopra di lui. Ora potevo sentirlo vibrare tra le mie cosce. Me lo feci strusciare un po’ addosso, desiderando di farmi pervadere dal suo odore. La mia mano scivolò furtivamente sotto la gonna, spostando l’intimo e facendo strada alla sua carne nuda che trovò la mia, incandescente e bagnata, pronta ad accoglierlo di nuovo. Restai così inerte, per qualche secondo. Per poi iniziare a dondolarmi, strusciarmi e muovermi lentamente. Tutto attorno a noi stava scorrendo, il paesaggio sui finestrini, lo scompartimento sulle rotaie e lui dentro me. In estasi per la ritrovata unione dei nostri corpi, non ci accorgemmo della comparsa di un uomo in divisa blu. Non so se per miopia o abitudine, non fece caso a noi e gli fummo grati di non aver interrotto la nostra danza. Restammo accoccolati a lungo, l’uno dentro l’altro quasi immobili, in quell’abbraccio totale, senza voler culminare nell’esplosione di un orgasmo, per non mettere fine a quel piacere ancora più profondo. Soltanto in dirittura di arrivo, quando tutto attorno a noi diventò famigliare, decisi di voler ingoiare anche l’ultimo sorso di quel magico momento. Mi accovacciai davanti a lui e lo strinsi tra le labbra. Il solo contatto della sua punta sulla mia lingua, bastò a farlo trasalire.
Li chiamerebbero atti osceni in luogo pubblico. Io invece le definirei coccole di amanti in procinto di risvegliarsi da un sogno fugace. Mi alzai e mi diressi verso lo scompartimento accanto, senza salutarlo. Senza poterlo guardare. Non volevo vedesse quelle lacrime che sbandieravano impunemente i miei sentimenti. Il miglior saluto possibile, è quello in cui non ci si dice addio.

03 febbraio 2011

Tre è il numero perfetto !

Ho scoperto col tempo che essere una single che non vuol stare da sola, comporta un certo impegno. Si perché intendiamoci le mie non sono voglie, ma necessità.
I miei amichetti dopo un po’ mi dicono che sono uno strano tipo di donna. Una specie rara.
Una femmina che fa sesso come un uomo e lo vorrebbe fare pure con la stessa frequenza.
Piano con le definizioni ! Non chiamatemi ninfomane o avrò tutto il diritto di chiamare ognuno di voi maniaco.
Però per soddisfare i miei appetiti un uomo solo non basta. Aspettate, anche qui non arrivate subito alle conclusioni. Se avessi una specie di fidanzato o roba simle, me lo farei bastare. Anche se in passato frasi come : “non sono una macchina, ho bisogno dei miei tempi, ma non ti basta mai ?”  echeggiavano spesso in camera da letto, determinando l’istantanea fine della storia.
Così ho optato per una condizione di totale liberà. Ho già scritto che non rinuncerò mai a scopare dove mi viene voglia, quando voglio e con chi mi pare.
Però per farlo con la frequenza che desidero, ci vuole un gran lavoro di ricerca e selezione.
I periodi migliori sono quei magici momenti dell’anno in cui ne ho tre per le mani.
Ognuno di voi riesce a ritagliarsi almeno un paio d’ore la settimana, lontano da impegni di lavoro, famiglia, hobbies.  Se poi magari avete la fortuna di dover lavorare fuori casa, le due ore si trasformano in una notte intera.
E con tre uomini a disposizione, il risultato per me è di ottenere almeno un paio di ottimi momenti di divertimento la settimana. Mi sembra il minimo sindacale, no?
Purtroppo però ho dovuto notare che spesso i periodi in cui i miei amichetti sono più liberi, coincidano tra loro. E spesso quando si sormontano gli impegni, non si riesce a far sormontare nient’altro. Tranne rare occasioni in cui con grande abilità sono riuscita a farli incastrare…intendo gli appuntamenti, non gli uomini !
Come quella memorabile serata d’estate in pizzeria, con un gruppo di persone con le quali condivido una passione. Avete presente la classica pizza di fine corso ? Ecco, solo che nel gruppo c’erano un paio di uomini che avevo stuzzicato nelle settimane precedenti e che manco a dirlo mi avevano riservato un posto a tavola per potermi stare vicino. “Vieni qui, siediti tra noi due” e nel giro di pochi minuti, mi ritrovai al centro del più classico dei triangoli. Solo che due, dei tre protagonisti ne erano all’oscuro. La tovaglia arrivava fino a terra e per mia fortuna nascondeva tutto quello che avveniva là sotto.  Un intreccio di mani e piedi che faticavo a tenere separati. Per mia fortuna, uno di loro decise di alzarsi e dirigersi verso il bagno, facendomi l’occhiolino d’intesa per invitarmi a seguirlo. Come avrei potuto dirgli di no ? Dissi all’altro che dovevo fare una telefonata, mi allontanai e senza dare troppo nell’occhio raggiunsi la toilette. Non feci in tempo ad arrivare che una porta si aprì e il mio amico mi afferrò per un braccio spingendomi dentro. Chiuse a chiave e mi bloccò con le spalle alla porta. Mi mise una mano sulla bocca sorridendomi, sapendo che di solito mi si sente a distanza quando mi diverto ! Cercai di concentrarmi e di non emettere un fiato, anche se sapevo che sarebbe stato praticamente impossibile. Lui si inginocchiò davanti a me, mi alzò la gonna, spostandomi le mutandine e cominciò a torturarmi con la lingua. Era uno dei più bravi che avessi mai incontrato. Uno di quelli che sa come fare impazzire una donna. Sa dove fare più pressione e dove meno, quando leccare e quando succhiare. Insomma ero in visibilio. Non c’era nulla sul quale sedersi o appoggiarsi, quindi decise di afferrare i miei fianchi e alzarmi tenedomi appoggiata alla porta. Si sbottonò i jeans e me lo infilò. Fù la classica sveltina. Che se fatta in situazione di pericolo ha il suo perché, l’eccitazione dovuta al fatto di poter essere scoperti, porta la passione ai massimi livelli.
Decidemmo che lui sarebbe uscito per primo e avrebbe raggiunto il gruppo. Io avevo bisogno di un po’ di tempo per ricompormi. Appena uscito dal bagno, il mio cellulare suonò. Era l’altro ! “Dove sei finita ? E’ una telefonata lunga, eh ? Senti io mi sto annoiando e scoppio dalla voglia di te, ce ne andiamo ?” . Ti pareva ! Quando troppo e quando nulla. Gli dissi che non volevo che nessuno sapesse di noi due, era troppo presto. Quindi poteva aspettarmi sotto casa, sarei arrivata in venti minuti. Tornai al tavolo con un sorrisetto stampato in faccia. Una delle due sedie era vuota. Mi aveva preso in parola ed era corso in macchina. Così avevo tutto il tempo di salutare con calma il mio amico dall’abile lingua, senza sembrare troppo sgarbata. Me ne andai dicendo che dovevo raggiungere delle amiche in discoteca e nessuno si accorse di nulla. Arrivata a casa, trovai il mio amico sulla porta, gonfio di desiderio. Gli dissi che faceva troppo caldo e che volevo fare una doccia. Venne con me. Lavò via l’odore dell’altro senza neppure immaginarlo e mi cosparse del suo. Gran bella serata !