La parte più erotica del mio corpo è il CERVELLO. Senza, sarei soltanto un pezzo di carne sui tacchi.

I miei racconti

09 dicembre 2010

Il maestro della tortura

Ho sempre avuto una passione per Hemingway.
Il classico uomo d’altri tempi, quello del quale hanno buttato lo stampo.
Quel cocciuto, maschilista, geniale uomo col quale avrei voluto cenare una sera d’estate di luna piena, in un bistro a Parigi.  Ci sarei finita a letto o gli avrei dato uno schiaffo ? Forse entrambi, ma non in quest’ordine.
Poi un giorno decido di accettare un invito, prendo il  treno e torno a Milano. E’ Natale, fa freddo, piove. Ma alla stazione è venuto a prendermi lui, Ernest. La sua quintessenza o forse la sua reincarnazione. Passo deciso, sguardo di chi del mondo e delle donne ha visto molto e forse tutto. Mi sembra di avere una parte da recitare di un copione già scritto, lui dirige. Il percorso, le destinazioni, gli argomenti. La sicurezza sconfina nella spocchia. Ma per ora va bene. Con tutta la mancanza di decisione e di intrapprendenza maschile patita in queste ultime settimane, mi ci vuole una dose del buon vecchio machismo.  Vediamo quanto sa essere maschio lui e saprò ricompensarlo con tutta la femmina che sono.
Quattro passi dividendo l’ombrello, sotto le luci natalizie. Il pranzo veloce in un posto qualunque. Sono imbacuccata di lana e indosso indumenti per nulla sexy. Non mi ci sento. Non posso esserlo nei cinque gradi di quest’aria invernale. Lui ha già fatto le sue mosse, vecchio stile. Elegante, deciso, mai volgare. Le ho tutte respinte al mittente e la tensione sta per evaporare, raffreddata in un freddo e piovoso pomeriggio che sta andando a concludersi in un nulla di fatto. Un passo dopo l’altro ci stiamo avvicinando alla certezza di un momento erotico svanito e certamente rimpianto nei giorni successivi. Un profumo intenso solletica il mio naso, mi ha seguita dalla stazione. Si mischia ad altri odori, svanisce e poi torna a cercarmi. Mi invade, solleticando il naso, si intrufola in me, facendo ribollire prima il sangue poi il mio nettare. Non gli avevo dato importanza, prima di essermi trovata un gradino sopra al suo collo sulle scale ed aver capito che quello è il suo odore. Mi aveva già conquistata, prima ancora di parlare. E né io né lui lo sapevamo. La nostra pelle, si. Ora volevo toccare la sua, sentirne la grana sotto le dita. Sarà calda, ruvida o liscia. Sarà velluto o lino. Troppa gente ci cammina intorno, mentre la mia voglia ribolle. I pensieri diventano univoci. E quell’odore mi fa sgorgare l’eccitazione tra le gambe. Un cancello si apre e un androne si offre a noi. Decido che lì lo asseggerò. Lui ridere della mia necessità divenuta impellente. Non vuole cedere le redini di questo gioco, si concede appena. Mi lascia intrufolare una mano tra le sue gambe, solo per farmi capire che questo non è bastato a farlo eccitare. Deride il mio esame di riparazione fallito, lasciandomi arrogantemente offesa dal suo rifiuto. Solo così, spoglia della veste di seduttrice, decide di tornare da me. Mi guarda, prende la mia mano, la guida tra le mie cosce, intinge le nostre dita in me e se le porta alla lingua. Poi mi bacia, facendo mischiare i nostri sapori. “Così è come se avessimo scopato, per oggi può bastare”. Resto lì immobile e sfinita: iniziata dal maestro, alla tortura dell’attesa.

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